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Cinque aziende su otto chiedono prestiti in banca per pagare le tasse. E’ uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione fiscale. Ragion per cui oltre il 62% delle micro, piccole e medie imprese italiane è stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E c’è l’Imu (imposta municipale unica) in cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito. Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, più in generale, per tutti gli adempimenti con l’Erario. Questi i dati più di un sondaggio del Centro studi Unimpresa, condotto fra le 122.000 imprese associate sulla base dei dati raccolti al 30 giugno 2013.
Oltre 76.200 pmi associate a Unimpresa, dunque, ha chiesto soldi alle banche,nel primo semestre di quest’anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni, i cui risultati sono in linea con quelle svolte nel 2012, sono state effettuate dal 15 luglio al 15 settembre, attraverso le 60 sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all’Imu, è l’Irap l’altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italiani, tenuto conto che l’imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdite dunque in assenza di utili. Tre, in particolare, i comparti dell’economia del Paese letteralmente "strozzati" dal tributo immobiliare. Secondo il sondaggio Unimpresa, gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le categorie che basano più di altre la loro attività imprenditoriale proprio sugli immobili. E dunque si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di alberghi in cima alla classifica), delle piccole industrie e delle fabbriche (per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i cosiddetti supermercati).
«Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende» spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Il primo – spiega Longobardi – è l’apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell’attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei "prestiti fiscali" va decurtato in proporzione al valore dell’ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo "guaio" è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l’impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse».
Secondo Longobardi «questa è la prova che un sistema tributario troppo pesante si accanisce sulle imprese fino a portarle allo sfinimento, se non al fallimento. Attivare linee di credito per pagare le tasse è assurdo: vuol dire la fine del sistema economico. Di fatto l’impresa si trova morsa in una tenaglia, con fisco e credito che tagliano le gambe e chiudono le porte del futuro». Non solo. «Alla fine – spiega il presidente di Unimpresa – il conto arriva anche per lo Stato: un’impresa che annaspa diventa un contribuente meno "generoso" e pure il gettito tributario ne risente e non poco sia sul fronte dell’imposizione diretta (a esempio l’Ires) sia su quello dell’imposizione indiretta (come l’Iva)».
"Pur ribadendo una contrarietà di fondo a qualsiasi innalzamento dei tributi, potremmo dare il nostro assenso a un eventuale scambio fra l’innalzamento dell’aliquota Iva dal 21% al 22% controbilanciato però da un taglio del cuneo fiscale" aggiunge Longobardi. Secondo il presidente di Unimpresa "l’inasprimento della tassa sui consumi è pericoloso e corre il rischio di frenare le flebili speranze di ripresa economica. Tuttavia, potrebbe essere considerato il male minore rispetto a un concreto intervento sulle tasse a carico di aziende e dipendenti. Intervento che avrebbe un doppio effetto positivo: alleggerire i bilanci delle imprese e aumentare le disponibilità delle famiglie, che potrebbero così far fronte a un aumento dei prezzi consequenziale al rialzo dell’Iva".