Gli insegnanti pagati peggio di tutti: gli unici nella PA con lo stipendio fermo per 5 anni

Tra i paesi moderni europei i nostri docenti hanno lo stipendio più basso dopo la Grecia, con quasi 8mila euro in meno a fine carriera rispetto alla media di tutto il vecchio Continente. Ora, come se non bastasse, il Parlamento italiano si appresta a varare una legge di stabilità che terrà ferme le loro buste paga, unico caso della pubblica amministrazione, per il quinto anno consecutivo. La tanto vituperata categoria, dopo lo scadimento dello status e della considerazione sociale, si ritrova oggi a subire l’umiliazione di uno stipendio sempre più vicino alla soglia di povertà.

A sostenerlo, senza giri di parole, è stata anche la VII Commissione Istruzione del Senato, che nell’esprimere il parere su quella che sino a non molto tempo fa veniva chiamata legge finanziaria, ha invitato le parti coinvolte nella stesura della legge “a porre rimedio alla doppia penalizzazione gravante sul personale della scuola, considerato che il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, per tutto il personale del pubblico impiego autorizza le procedure contrattuali per il biennio 2013-2014 per la sola parte normativa, senza possibilità di recupero per la parte economica, ma che per il solo personale della scuola proroga fino al 31 dicembre 2013 il blocco degli scatti già stabilito per gli anni 2010, 2011 e 2012”.

Sempre secondo la Commissione Istruzione di Palazzo Madama, “bloccando la progressione per anzianità anche per il 2013 si interviene infatti sul contratto vigente, con un prelievo di 300 milioni di euro, che si spostano dalle retribuzioni del personale, già molto basse, verso il contenimento della spesa pubblica. Del resto, su tale doppia penalizzazione prevista solo per il personale della scuola la Commissione aveva già espresso parere negativo nelle prime settimane della legislatura”.

Per Anief-Confedir, la stroncatura della VII Commissione Istruzione del Senato sulla reiterazione del blocco stipendiale al personale della scuola non sorprende: il sindacato ha infatti espresso da tempo la sua posizione nei confronti di una decisione che ha radici lontane. Prende avvio con il d.lgs. 29/1993, trova conferma attraverso il d.lgs. 165/01 e con il più recente d.lgs. 150/09, più noto come riforma Brunetta della PA. Tutti provvedimenti che per mere ragioni di finanza pubblica hanno introdotto la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego a dispetto di diritti e contratti di comparto. Andando anche a minare seriamente il corretto funzionamento della macchina amministrativa statale e l’adeguato compenso dei suoi dipendenti.
L’ultimo atto di questi provvedimenti è stato quello dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, ad agosto 2013, del blocco della contrattazione per il biennio 2013-2014 di tutto il pubblico impiego. Provvedimento confermato poi, a settembre, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 251 del D.P.R. n. 122 del 4 settembre 2013.

Bisogna tuttavia considerare che i dipendenti della scuola sono gli unici della P.A. ad avere avuto il contratto fermo già a partire dal 2010 e quindi per un quinquennio consecutivo (per gli altri il blocco è arrivato l’anno successivo e quindi varrà per un quadriennio). Nel gennaio 2011, il Ministero dell’Economia, allora guidato dal ministro Giulio Tremonti, aveva introdotto il blocco degli scatti del personale della scuola per il triennio 2010-2012. Trionfalisticamente alcuni sindacati annunciarono di esser riusciti a dirottare parte del risparmio dovuto al taglio di 50.000 posti di lavoro per “coprire” proprio il primo anno di blocco di quei mancati aumenti. L’anno successivo, il 2011, si sarebbe dovuto assicurare, sempre previo accordo tra i sindacati e il Governo, stipulato nel gennaio 2013, attraverso la decurtazione del 25% del cosiddetto fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, comprendente anche i fondi per le scuole a rischio.

Peccato che il Governo, nel frattempo mutato due volte, oggi di fronte al bisogno impellente di fare cassa non ci abbia pensato due volte a rinnegare quell’accordo: proprio attraverso la legge di stabilità 2014, prima ha prorogato il blocco per tutto il pubblico impiego sino alla fine del prossimo anno. E poi per il personale della scuola ha di fatto annullato, a regime, gli effetti di quegli aumenti di stipendio seppur concordati e certificati. Senza dimenticare che la vera intenzione della parte pubblica è arrivare a sostituire gli scatti di stipendio con il sistema premiale della performance individuale. Peraltro sempre a patto che siano reperite risorse aggiuntive derivate da nuovi risparmi.

“Tutto ciò – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – fa ancora più scalpore, dal momento che dal novembre 2012 i magistrati dello Stato hanno riacquistato i loro automatismi di carriera grazie a una sentenza della Consulta, la n. 223/12, che ha dichiarato incostituzionale il blocco previsto dall’articolo 9, comma 21, della legge 122 del 2010. Ma siccome un blocco non può essere incostituzionale solo per alcuni dipendenti, viene da sé che anche la proroga fino a tutto il 2014 è illegittima. Per questo Anief-Confedir continua a organizzare ricorsi in tribunale contro la nuova legge di stabilità”.

A tal proposito, c’è da dire che proprio in questi giorni la Corte Costituzionale si sta esprimendo su 13 ricorsi presentati a tutela del blocco degli stipendi 2011-2013 degli altri dipendenti pubblici. “Se il parere della Consulta sarà favorevole – conclude Pacifico – finalmente tutti i cittadini saranno uguali davanti alla legge. E il Governo dovrà rivedere le coperture finanziarie degli ultimi tre anni e quelle previste per il futuro”.