Un po’ nell’indifferenza della maggioranza degli italiani il Governo sta per realizzare una sorta di privatizzazione della Banca d’Italia esplicita. Il ministro dell’Economia Saccomanni (ex- direttore generale della Banca d’Italia) dichiara pubblicamente al Sole 24 Ore del 27 Novembre che il progetto è di fare della Banca d’Italia una “public company”. Una public company?! Ma stiamo scherzando? La Banca Centrale (o quel che ne resta dopo l’altro pasticciaccio brutto, quello più grave, dell’Euro) è una una istituzione che gestisce –all’interno del sistema europeo- una delle sovranità più importanti di una nazione: quella monetaria. Svolge una funzione eminentemente pubblica. I ricavi che produce sono ricavi che derivano dall’amministrazione di un bene pubblico e devono tornare al pubblico, non certo agli azionisti. Ma andiamo con ordine. La Banca d’Italia nasce come una istituzione privata e nel 1936 viene nazionalizzata assegnando le quote per un valore di 300 milioni di lire ad una serie di istituti di diritto pubblico fra i quali numerose banche. Queste quote, da allora, non sono mai state cedute. Alla fine del 1993 inizia il periodo della privatizzazione del sistema bancario (preceduto dalla trasformazione in SpA delle banche di diritto pubblico) al quale segue il periodo del consolidamento del sistema. Si passa da oltre mille banche che operavano alla fine degli anni ’80 a meno di 90 gruppi bancari che operano attualmente a cui fanno capo poco più di 200 banche. Questo processo ha implicato che le quote delle Banca d’Italia che prima erano in mano a molti enti pubblici siano divenuti in mano a enti privati e le varie fusioni ed incorporazioni hanno fatto sì che i due più grandi gruppi bancari (Banca Intesa e Unicredit) detengano la gran parte di queste quote. Sia ben chiaro che il possesso di quote non fornisce in nessun modo il potere di indirizzo e di controllo delle funzioni della Banca d’Italia. Non c’è quindi, il pericolo adombrato da molti, specialmente in Rete, che la Banca Centrale venga controllata dalla banche che dovrebbe vigilare. Ciò nonostante rimane l’assurdità del progetto messo in campo dal Governo. Il cuore di tutto sta nella valorizzazione di quote (in mano a soggetti privati) di un ente la cui funzione si basa sull’esercizio della sovranità monetaria. Secondo il progetto approvato dal Consiglio dei Ministri, la Banca d’Italia non potrà distribuire dei dividendi superiori al 6% del valore delle quote ed il valore delle quote è stato stabilito in base a una perizia di parte criticata da molti economisti di rilevo. Ora, il valore di una quota che non ti dà diritto di controllo di una società, la cui negoziabilità è (giustamente) limitata e che dà diritto solo a percepire un utile è piuttosto complicata da stabilire. In ogni caso, il problema è che quell’utile deriva per la quasi totalità dall’esercizio di una sovranità pubblica che è il diritto di signoraggio. Non è assolutamente giusto che questi soldi vadano ad azionisti privati perché sono soldi della collettività! Lo scopo di questa valorizzazione è chiaramente quello di ricapitalizzare le banche ed incassare, al tempo stesso, un po’ di soldi dalla tassazione su queste rivalutazioni, ma si tratta di un’operazione di brevissimo respiro. Con questa operazione il Governo sta facendo un enorme regalo alle banche (che d’altra parte, sta sfruttando come una sorta di Bancomat) ma lo fa a scapito del buonsenso e dell’interesse pubblico.
Alessandro Pedone, responsabile Aduc per la Tutela del Risparmio