Una quota sempre più consistente degli oltre 2 milioni di giovani senza occupazione tenta con successo di trasferirsi all’estero: gli under 35 che nell’ultimo decennio sono stati costretti a recarsi oltralpe in cerca di un impiego sono più che raddoppiati, passando da 50mila a 106mila. Ma è stato soprattutto nel 2012 che l’incremento di coloro che hanno acquisito una residenza straniera ha toccato livelli da record, facendo registrare un +28,8% rispetto all’anno precedente. Oltre la metà sono giovani: il 54,1% ha infatti meno di 35 anni. Si tratta di un andamento legato alla mancanza di alternative, visto che nello stesso periodo si è toccato anche il record di Neet.
I dati, purtroppo ufficiali, emergono incrociando il Rapporto annuale Censis pubblicato in questi giorni, con il Rapporto Cnel sul mercato del lavoro 2012/13 presentato solo qualche settimana fa. Se dal primo studio risulta quasi raddoppiato, arrivando a 2,7 milioni, il numero di italiani, con un’alta percentuale di ragazzi, che “cercano attivamente un lavoro ma non riescono a trovarlo”, dal secondo si evince che i giovani che non studiano e non lavorano sono diventati 2 milioni e 250 mila giovani: in media uno su quattro tra i 15 e i 29 anni, mentre uno su tre di essi si ritrova nel Mezzogiorno contro uno su sei al Nord e uno su cinque al Centro.
È inoltre significativo che circa un quarto di chi è recato all’estero per cercare lavoro (il 26,5%) dichiari che è stata determinante la voglia di lasciare un Paese in cui non si trovava più bene. Quello che appare a loro il difetto più intollerabile dell’Italia è l’assenza di meritocrazia, denunciata dal 54,9%. Tra i motivi della decisione di andarsene c’è poi “la scarsa attenzione per i giovani”, fatto rilevare dal 28,2% del campione consultato dal Censis. Risulta davvero drammatico un ultimo dato: ci sono 1,6 milioni di italiani che, “pur disponibili a lavorare, hanno rinunciato a cercare attivamente un impiego perché convinti di non trovarlo”. E tra costoro vi sono anche tanti laureati.
“Le informazioni che provengono dai Rapporti nazionali – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – confermano che l’Italia sta diventando un Paese sempre meno adatto per i giovani. Anche il crollo al 20,5% del tasso di occupazione dei 15-24enni, rilevato dall’Ocse, è un dato che parla da solo. Solo Grecia e Turchia, tra i 34 Paesi dell’area, hanno una quota di Neet più elevata. C’è anche il rischio fondato che le proiezioni sulla disoccupazione italiana continuino ad aumentare pure nel 2014. Con le fasce giovanili, per vari motivi indifese, che saranno anche stavolta le prime ad essere colpite”.
Il sindacato ritiene che il Governo debba intervenire con forza per convertire a tempo indeterminato tutti i contratti a termine superiori ai tre anni, nel rispetto della direttiva comunitaria. In Italia si è riusciti nell’impresa di penalizzare anche coloro che hanno investito negli studi. Non ci dobbiamo scandalizzare, poi, se nell’ultimo decennio il numero di immatricolati alle università è sceso da 338mila a 269mila studenti, ovvero del 20,6 per cento in meno rispetto al 2003. Il blocco del turn over e dei salari hanno poi aggravato la già difficile situazione economica internazionale.
“Manca una politica che guardi finalmente alle esigenze dei giovani – continua Pacifico –, ad iniziare dall’approvazione di una vera riforma dell’apprendistato che coinvolga i giovani a partire dai 15 anni. Se ne parla da anni. Ma non si va oltre. Creare un maggiore collegamento con le aziende permetterebbe ai nostri ragazzi, come avviene in Germania, di specializzarsi prima di avventurarsi nella ricerca del lavoro. Serve poi introdurre l’obbligo formativo fino alla maturità. Per non parlare dell’assenza di un vero orientamento tra la scuola superiore e l’università. E nemmeno il comparto privato, stretto tra riduzione del volume di affari, tassazione record e mancati pagamenti da parte dell’amministrazione pubblica, riesce più a garantire – conclude il rappresentante Anief-Confedir – il ricambio generazionale lavorativo fisiologico”.