La Corte di Giustizia Europea ritiene illegittima la normativa italiana sui precari

E’ ancora emergenza precariato: il Governo deve trovare le risorse per sbloccare il turn-over e procedere a un massiccio piano di immissioni in ruolo nella pubblica amministrazione a partire proprio dalla scuola. I 67.000 posti previsti dall’ultima legge che ha convertito il decreto legge n. 104/13 per il prossimo triennio non coprono neanche i pensionamenti mentre altri 138.000 sono stati assunti a tempo determinato quest’anno per far funzionare le scuole.

L’Italia non rispetta le norme comunitarie sui dipendenti pubblici a tempo determinato. E deve prepararsi ad assumere i 250mila precari con contratti a termine che operano nella pubblica amministrazione – stima fornita di recente dallo stesso ministro della Pubblica amministrazione e semplificazione, Gianpiero D’Alia, nel corso di un’audizione alla Camera – , di cui circa 133 mila nella scuola, 30 mila nella sanità e 70-80 mila tra Regioni ed Enti locali: a confermarlo è la Corte di Giustizia Europea, che con due provvedimenti coordinati, del 12 dicembre scorso, ha bocciato senza appello la legislazione italiana in materia di negazione delle tutele effettive contro gli abusi nell’utilizzazione dei contratti a tempo determinato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni.

Si tratta di due sentenze che indicano chiaramente allo Stato italiano la necessità impellente di rivedere le norme e la prassi in materia.

Con la prima ordinanza, la “Carratù”, la Corte di Lussemburgo ha bocciato la sanzione introdotta dall’art.32, comma 5, della legge n. 183/2010 con effetti retroattivi sui processi in corso di Poste italiane: confermando la tesi del Tribunale di Napoli, la Corte dell’UE sostiene che Poste è Stato e non un’impresa privata. E che allo Stato si applica soltanto il decreto legislativo n.368 del 2001 e non le norme successive approvate “abilmente” dal legislatore italiano per aggirare la sua adozione.

Allo stesso modo, con la seconda ordinanza, la “Papalia”, la Corte Europea si è espressa sulla questione sollevata dal Tribunale di Aosta di compatibilità comunitaria dell’art. 36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001, norma dichiarata in palese contrasto con la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato: per i giudici europei, dunque, il decreto italiano n.165/2001 rende estremamente difficile o addirittura impossibile al lavoratore la prova del risarcimento del danno senza costituzione del rapporto. Di conseguenza non è misura idonea a prevenire gli abusi nella successione dei contratti a termine nel pubblico impiego.

“La sentenza ‘Papalia’ riguarda il Comune di Aosta, ma puo’ per analogia essere sicuramente estesa a tutto il territorio nazionale – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – semplicemente perché il caso esaminato è equiparabile a quello dei 250 mila dipendenti ‘storici’ della pubblica amministrazione che hanno già svolto almeno 36 mesi di servizio. Ad iniziare dalla scuola, dove soltanto per l’ordnario funzionamento per quest’anno sono stati assunti a tempo determinato almeno 137 mila supplenti”.

Il sindacalista Anief-Confedir, inoltre, ricorda che “nella scorsa estate il Governo italiano, proprio per rispondere alle pressioni dell’UE sulla necessità di interrompere l’abuso di utilizzo del precariato nella PA, dopo aver vietato la stabilizzazione dei precari della scuola e della sanità per legge – tanto da essere nuovamente chiamato in giudizio alla corte europea di Lussemburgo – ha dato la possibilità alle amministrazioni pubbliche di bandire concorsi con riserva di posti (massimo il 50%) per chi, alla data di pubblicazione del bando, abbia maturato almeno tre anni di contratti a termine negli ultimi dieci anni. Ma si tratta di un tentativo del tutto inutile di sfuggire alle perentorie regole comunitarie, perché è destinato ad infrangersi di fronte alle espressioni dei tribunali di giustizia. I quali stanno ripetutamente confermando che le ragioni finanziarie non possono essere assunte come giustificazioni per aggirare le norme sovranazionali”.

“Quei concorsi riservati, indetti dal Governo, non hanno alcun senso: semplicemente perché – continua Pacifico – i lavoratori precari ‘storici’ non debbono essere più sottoposti ad alcuna nuova selezione. Hanno i titoli per essere assunti nei ruoli dello Stato. Quello stesso Stato che non può utilizzarli a suo piacimento, quando ne ha bisogno, licenziarli e poi richiamarli per un numero imprecisato di volte”.

Urge una riforma complessiva del mercato del lavoro e del sistema previdenziale che deve essere espressione di riflessione attenta del Parlamento a partire proprio dalle norme comunitarie come impone l’art. 117 della Costituzione. La proroga dei contratti o i concorsi riservati pensati ultimamente non bastano perchè l’Italia è l’unico Stato che ha utilizzato sistematicamente come modello organizzativo per esigenze di risparmio di cassa l’assunzione a tempo determinato dei suoi dipendenti in maniera prolungata. Nella sola scuola per non pagare le mensilità estive e gli scatti di anzianità, per vent’anni, il 15% dell’organico è stato utilizzato come supplente. E ora risulta necessario sbloccare il turn-over per liberare i posti ed evitare sanzioni dalla Commissione UE e dai tribunali di giustizia europei e nazionali, ma senza bloccare gli stipendi per dieci anni come si è fatto ancora nella scuola dal 2011 perchè sarebbe un’altra violazione della norma comunitaria facilmente rinvenibile dai giudici.

A tal proposito, va ricordato che la scorsa estate, con ordinanza n. 207/13, la Corte Costituzionale ha rinviato alla Corte di Giustizia Europea la questione sulla compatibilità della normativa italiana (avallata con la Legge 106/2011) proprio rispetto alla direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a termine e assenza di risarcimento del danno per docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari precari della scuola con almeno tre anni di supplenze alle spalle.

Ora, secondo l’avvocato Vincenzo De Michele che insieme agli avvocati Sergio Galleano, Fabio Ganci e Walter Miceli ha seguito per Anief il contenzioso sul precariato scolastico nei giudizi in Corte costituzionale e che ha partecipato alla discussione della causa Carratù in Corte di giustizia all’udienza del 5 giugno 2013, “le due importantissime decisioni della Corte Europea prendono atto della ormai certificata incapacità del legislatore nazionale di regolamentare la disciplina delle tutele contro i ripetuti abusi commessi dallo Stato e dalle imprese pubbliche statali sui contratti flessibili anche con norme retroattive”.

“La sentenza Carratù e l’ordinanza Papalia – continua l’avvocato De Michele – rendono sicuramente effettiva la riqualificazione in contratti a tempo indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico dopo trentasei mesi anche non continuativi di servizio precario, come previsto dall’art.5, comma 4-bis, dello stesso decreto 368. Una espressione inequivocabile che – conclude il legale – dovrà essere applicata immediatamente in particolare nei settori della scuola, della sanità e della ricerca, disapplicando le norme che impediscono la tutela effettiva”.