Recentemente anche il Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha dichiarato che “il mestiere dell’insegnante è usurante, ma ora abbiamo leggi che dobbiamo rispettare. Certo, è necessario rimediare ai guasti che abbiamo fatto come quelli, i cosiddetti ‘quota 96’, che non sono riusciti ad andare in pensione”, ha sottolineato il Ministro. Il problema è che sono passati più di due anni dall’entrata in vigore della riforma pensionistica, approvata dal Governo Monti, ma in tutto questo tempo non si è riusciti ad approvare una norma che tenga conto delle particolari condizioni della categoria professionale che più di tutte, almeno nella pubblica amministrazione, è particolarmente esposta al burnout, alle patologie psichiatriche e neoplastiche.
In tutto questo tempo, Governo e Parlamento non sono stati in grado di dare una risposta nemmeno agli oltre 3mila docenti e Ata che avevano iniziato l’anno scolastico 2011/12 convinti di andare in pensione. Ma poi sono rimasti “bloccati” sempre dagli estensori della riforma Fornero, che gli hanno incredibilmente negato la validità dell’intero anno scolastico per raggiungere la fatidica ‘Quota 96’.
La ‘finestra’ auspicata da Anief-Confedir permetterebbe ai tanti lavoratori, come loro e con almeno 35 anni di contributi, di superare la posizione di limbo cui sono stati collocati anche dalla Corte Costituzionale. La quale, a fine 2013 sulla questione ha deciso di non decidere: la Consulta ha infatti dichiarato inammissibile l’ordinanza del giudice del lavoro di Siena che aveva sollevato la legittimità costituzionale sulla richiesta di un’insegnante di andare in pensione attraverso i “vecchi” requisiti della legge Damiano. Senza dimenticare che, nel frattempo, lo Stato continua a concedere la possibilità di lasciare con i vecchi requisiti a tutti i dipendenti della scuola soprannumerari (Circolare n. 3/2013 della Funzione Pubblica) poiché rimasti senza cattedra o posto.
Ma, soprattutto, Anief reputa discriminante mandare in pensione un insegnante alle soglie dei 70 anni. Quando l’Inps, con la comunicazione n. 545, ha ricordato che seppur adeguando i requisiti agli incrementi della speranza di vita per l’accesso alla pensione di anzianità, il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico continua a fruire di “tetti” di vecchio stampo: per questi lavoratori, infatti, i requisiti per l’accesso al pensionamento “a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2015 l’accesso al pensionamento anticipato prevede il raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età di almeno 57 e anni e 3 mesi”.
Tanto è vero che primi sei mesi del 2013 i corpi di polizia hanno lasciato il servizio in media a 54,8 anni. Ed i militari a 57 anni. Nel contempo, il progressivo progetto di allineamento di tali figure professionali ai nuovi requisiti pensionistici è naufragato per volontà delle commissioni parlamentari. Così militari e poliziotti continueranno ad andare in pensione prestissimo, anche con anche 15 anni di anticipo rispetto ai colleghi di altri comparti pubblici. Senza dimenticare che aprire una ‘finestra’ per l’accesso al pensionamento dopo 35 anni di contributi permetterebbe di svecchiare il nostro corpo docente: i dati ufficiali indicano che appena lo 0,1% ha meno di 30 anni e il 60% ha più di 50 anni, contro una media Ocse del 36%.
“Con l’innalzamento ulteriore dei requisiti minimi per lasciare il lavoro, previsto dalla riforma Fornero, andrà sempre peggio”, dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir. “Ci ritroveremo – continua – con decine e decine di migliaia di docenti e Ata ultrasessantenni sfiniti, però costretti ad operare con giovani ‘nativi digitali’. Obbligati, ogni oltre logica, a formare giovani con cui spesso non riescono più a rapportarsi con efficacia. Del resto, tutti i più autorevoli studi epidemiologici e sugli insegnanti convergono su un punto: lavorare con gli studenti è iper logorante. E ad alto rischio burnout. Non si può mandare un docente in pensione in tarda età, soprattutto cambiando le regole in corsa. Per questo – conclude Pacifico – introdurre una ‘finestra’ renderebbe giustizia alla categoria. E salverebbe l’amministrazione da un enorme sicuro contenzioso, dove la trascinerà il nostro sindacato”.
Di questo rischio, evidentemente, sono coscienti anche i vertici del Governo. Tanto è vero che è idea del il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, avallata dal premier Enrico Letta, di istituire “una sorta di prestito pensionistico, consentendo ad alcune categorie di persone di mettersi a riposo 2 o 3 anni prima rispetto a quanto prevede la legge Fornero. Con questo sistema, l’ex-lavoratore non riceverebbe un vero e proprio assegno previdenziale ma una sorta di anticipo da parte dell’Inps sulla pensione futura, per un importo che arriva al 75-80% della rendita”. L’ennesima dimostrazione dei limiti insiti nell’art. 24 del Decreto Legge 201/2011 voluto dal ministro del Lavoro del Governo Monti.