Il giorno 27 gennaio p.v. alla Camera dei Deputati ci sarà un dibattito su una reiterata iniziativa dell’On.le Giorgia Meloni, la quale intenderebbe ridimensionare tutte le pensioni (pubbliche, private, giornalisti e forse anche i vitalizi dei parlamentari) con l’adozione del metodo contributivo per il calcolo delle pensioni stesse. Lo scopo sarebbe quello di “ridistribuire” fra i pensionati meno abbienti le risorse racimolate. L’iniziativa appare non fattibile, sia tecnicamente che giuridicamente (violazioni dei diritti acquisiti). Tecnicamente perché gli Uffici/Enti/Aziende non hanno più le “carte” (come ha asserito l’On.le Fassina), già Vice Ministro dell’Economia, cioè gli uffici non hanno più l’ammontare dei contributi versati dai lavoratori 20, 30 o 40 anni orsono. Giuridicamente, in alcuni casi, sarebbero violati i diritti acquisiti, in quanto ci sarebbe un’appropriazione indebita (sarebbe meglio dire truffa) degli stessi contributi pensionistici. Cosa più grave: il metodo contributivo danneggerebbe proprio i pensionati che hanno versato contributi irrisori o che non hanno versato alcun contributo. Paradossalmente, ma giustamente, farebbe aumentare le pensioni di coloro che si intendono colpire: infatti i contributi versati per 5, 10 e più anni in eccedenza a quelli versati per 40 anni di servizio, sarebbero così valorizzati ai fini del calcolo e non “sterilizzati” come è successo finora. In un Paese ove l’evasione fiscale certificata dalla Corte dei Conti è di circa 160 miliardi di euro su base annua e tale cifra è destinata a salire a 390 miliardi di euro sempre annualmente parlando, (per i noti riciclaggi e le note tangenti), sarebbe più opportuno dedicarsi seriamente a reperire risorse in questi settori, così da avere in mano un mucchio di miliardi per risolvere globalmente i problemi del Paese. Ci rendiamo conto, purtroppo, che è più facile fare demagogia, drogando l’opinione pubblica e gli sprovveduti, al fine di raccattare voti basati sull’odio generazionale.
Arcangelo D’Ambrosio