La continuità assistenziale dall’intensità di cura all’assistenza territoriale, quale risposta alle nuove necessità sanitarie, è un tema di grande interesse per la Sanità che pertanto la promuove nel Piano sanitario nazionale. Questo tema, attualissimo, si è affrontato nella giornata di sabato 1 marzo a Milano, presso il Centro congressi della Fondazione Cariplo, nel suggestivo Palazzo Confalonieri, in occasione del convegno “Motore Sanità – Il nuovo patto Stato-Regioni: tra tagli ed efficienza”.
Sul tavolo di confronto si sono riuniti i massimi esperti della Sanità italiana e giornalisti del settore che hanno affrontato i temi sensibili del convegno, sviluppati in quattro workshop.
Nella mattinata sono state presentate le differenti strategie regionali mentre nel pomeriggio si è svolta una tavola rotonda sulle criticità.
Ad aprire i lavori è stato Mario Mantovani, Assessore alla Salute della Regione Lombardia che ha spiegato: «La Sanità lombarda, al pari di quella di tutto il nostro Paese, si trova oggi dinnanzi a una nuova sfida; quella di saper coniugare contemporaneamente i bisogni emergenti dell’attuale società, continuando a garantire ai pazienti prestazioni appropriate e di qualità, con le esigenze di bilancio, che in questo così delicato momento storico politico, sono variabili significative nell’azione di ogni pubblica amministrazione. Da qui l’esigenza e l’opportunità d’avviare un proficuo momento di confronto tra le diverse strategie regionali finora messe in campo. In questa prospettiva, quella di oggi è senza dubbio un’occasione di crescita particolarmente positiva. Regione Lombardia, da sempre considerata un modello d’eccellenza in ambito sanitario, non solo all’interno del panorama nazionale ma europeo, intende, pertanto, continuare a giocare un ruolo da protagonista nella costruzione di una Sanità moderna, il cui tratto distintivo dovrà comunque rimanere il prendersi cura del malato».
Il primo workshop – “Obiettivi del Patto” – ha aperto lo scenario della futura rete ospedaliera, nonché la continuità ospedale-territorio, il fondamentale e strategico ruolo dei Medici di Medicina Generale nel trattamento delle cronicità ed, infine, il tema del rapporto pubblico/privato.
Come è possibile una rete ospedaliera più moderna e più efficiente? Domenico Mantoan, Direttore Generale della Sanità della Regione Veneto ha spiegato: «La crisi del finanziamento del Sistema sanitario nazionale, molto più della normativa europea sulla mobilità transfrontaliera, impone un ripensamento del ruolo e dell’organizzazione degli ospedali. L’accesso al ricovero ospedaliero così come lo abbiamo conosciuto nel passato non può più essere considerato una misura del fabbisogno di assistenza. Il Patto per la salute dovrà necessariamente declinare un nuovo modello di ospedale articolato per gerarchie funzionali finalizzate al percorso assistenziale del paziente, bacini di utenza, volumi di attività, qualità dei processi di presa in carico nell’acuzie e di buon esito dei trattamenti».
Il direttore generale della Sanità della Regione Veneto ha proseguito: «Questi cambiamenti saranno sostenuti da una revisione dei ruoli e delle carriere professionali dei medici e del personale sanitario e saranno sostenibili solo a fronte di un’attivazione h 24 per 7 giorni su 7 del territorio, che renda possibile la tempestiva dimissione e contestuale presa in carico da parte del territorio di pazienti anche non autosufficienti, complessi o con bassa aspettativa di vita che non beneficerebbero ulteriormente delle cure ospedaliere, ed in particolare di quelle in regime ordinario. Tutto ciò va declinato all’interno del Regolamento ospedali previsto dalla Legge 135/2012, che dovrà essere inserito nel Patto per la Salute».
Questa la situazione nella Regione Veneto. «Lo standard del Veneto (3,0 posti letto per acuti +0,5 posti letto per lungodegenza e riabilitazione +1,2 posti letto in strutture di ricovero intermedie per ogni mille abitanti) è reso credibile da una incisiva e più che decennale politica di deospedalizzazione, che porta oggi il Veneto ad avere a livello nazionale consumo di risorse di ricovero ospedaliero ordinario tra i più contenuti in assoluto – spiega Domenico Mantoan -. Non è da trascurare – ha concluso Mantoan – l’impatto a breve termine sull’attività ospedaliera che possono avere le iniziative di prevenzione come lo screening del colon-retto».
Per Federsanità resta fondamentale la stretta collaborazione tra istituzioni, medici e pazienti.
Roberto Messina, Presidente di FederAnziani ha commentato: «Partendo dall’ottima notizia della riconferma del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, riteniamo fondamentale una sempre più stretta collaborazione in materia di sanità tra istituzioni, medici e pazienti, con il comune obiettivo di tutelare il diritto alla salute, e con uno sguardo ad un Servizio sanitario nazionale sempre più sostenibile».
Sul rapporto sanità e terza età Emanuela Baio, Responsabile Relazioni Istituzionali FederAnziani si è così espressa «Nel sistema sanitario il mondo degli anziani rappresenta la priorità ed anche se non lo fosse per scelta lo è per forza perché oggi l’invecchiamento della popolazione e, all’interno della popolazione anziana, soprattutto le cronicità – che rappresentano il 70 per cento della spesa sanitaria – costituiscono una priorità per il sistema sanitario. L’importanza di una associazione come FederAnziani sta proprio nel creare un rapporto di incontro e anche scontro con le istituzioni, ma innanzitutto di incontro per cercare di far sì che gli anziani siano coinvolti e quindi diventino l’elemento principe del cambiamento dentro il sistema sanitario. Oggi la frase di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, che diceva “Facciamo che tutto cambi affinché nulla cambi”, non può più sopravvivere perché oggi il nostro sistema sanitario ha bisogno di cambiare, lo deve fare per forza o per scelta, io spero che lo faccia per scelta e FederAnziani si impegna affinché gli anziani aiutino il sistema a cambiare per scelta. I medici di medicina generale che lavorano in gruppo per rispondere meglio al bisogno dell’anziano e le farmacie, dispensatori di farmaci ma anche di servizi, sono i due tasselli fondamentali del sistema sanitario nazionale che Federanziani propone come elementi di razionalizzazione e quindi, in termini concreti, di risparmio per il servizio sanitario stesso.
Se 3 milioni e 200mila anziani scegliessero di andare, per esempio, nelle farmacie che offrono anche dei servizi e scegliessero il medico di medicina generale che lavora in gruppo contribuirebbero in modo determinante a far cambiare il sistema sanitario, cambia in questo caso non per scelta ma per forza, noi vogliamo invece che insieme lo facciamo per scelta».
Il ruolo del Medico di medicina generale nel trattamento delle cronicità lo ha approfondito in un lungo e interessante intervento Roberto Venesia, Segretario Regionale Nazionale Fimmg Piemonte, che guarda a una riorganizzazione delle cure primarie senza sprecare risorse, ma perseguendo gli obiettivi dell’appropriatezza e dell’economicità. Come? «Fimmg ha da tempo colto la ineluttabile necessità di un profondo cambiamento della organizzazione del lavoro e degli obiettivi della Medicina generale per rispondere da un lato alla evoluzione dei determinati della salute come invecchiamento della popolazione, aumento della cronicità, complessità e fragilità e, dall’altro, alla necessità di rimodulare l’organizzazione in funzione di un non-aumento o addirittura riduzione di finanziamento del Sistema sanitario nazionale. Questi cambiamenti sono stati definiti nel progetto di Rifondazione della Medicina generale formulato da Fimmg già nel 2007 e poi accolti nella Legge “Balduzzi”. Parimenti è emersa la costatazione che una riorganizzazione incisiva della Medicina generale inevitabilmente richiede ed influenza la riorganizzazione complessiva dell’area delle cure primarie e dell’intero territorio».
Ecco il punto di svolta secondo Roberto Venesia: le associazioni funzionali territoriali (Aft) e ciò che ne conseguirebbe. «Che significa portare i medici a un lavoro di squadra, inizialmente funzionale (associazioni funzionali territoriali) utilizzando una rete informatica per la condivisione delle informazioni cliniche, definendo le modalità di integrazione tra assistenza primaria e continuità assistenziale, ma delineando anche le nuove modalità di lavoro di un medico di medicina generale a doppio incarico, che deve garantire nello stesso arco temporale attività legate al ciclo di fiducia e attività orarie assistenziali o professionali in attesa di poter definire nel nuovo accordo collettivo nazionale un “ruolo unico” rispetto al quale ogni singolo medico di medicina generale svolgerà sia attività a ciclo di fiducia sia attività oraria raggiungendo la “piena occupazione” e quindi svolgendo attività esclusiva».
Cosa occorrerà fare successivamente? «Dotare i medici di medicina generale delle associazioni funzionali territoriali di sedi comuni – ha proseguito Roberto Venesia -; di personale di studio appositamente formato a supportare il medico di medicina generale nella sua attività, compresa la nuova modalità di medicina di iniziativa e quindi con profilo professionale che preveda sia competenze tecnico-organizzative sia competenze socio-assistenziali quale è la nuova figura dell’assistente di studio del medico di famiglia, appositamente inserita nel contratto collettivo nazionale di lavoro degli studi professionali; di tecnologia diagnostica di primo livello, specialmente quella connessa con i percorsi di gestione della complessità e cronicità, in cui la strumentazione sia in grado di colloquiare con il cloud della rete clinica delle associazioni finzionali territoriali e di supportare una attività di consulenza specialistica anche in modalità di telemedicina per mettere i medici di medicina generale della “squadra” in grado di lavorare strutturalmente insieme per garantire risposte ai bisogni di salute sia completando in prima persona i percorsi di cura più semplici, sia coordinando i percorsi più complessi».
Quale obiettivo ha questa riorganizzazione? «Tale riorganizzazione ha come obbiettivo quello di mettere la Medicina generale in condizione di garantire la tutela complessiva della salute della popolazione, nel rispetto del rapporto di fiducia medico-paziente e del diritto alla libera scelta del cittadino, facendosi carico h24 della domanda di salute del cittadino e in particolare di modificare il “modus operandi” della medicina generale, passando da una medicina di attesa ad una medicina di iniziativa che opera per percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, per la gestione proattiva della cronicità, complessità ed in genere del paziente fragile.
Relativamente alla medicina di iniziativa «andrà individuato il modello organizzativo che più si confà alle realtà territoriali e alle caratteristiche della Medicina generale.
Parimenti l’intera area delle cure primarie deve rimodularsi individuando nei cittadini assistiti dalle associazioni funzionali territoriali i gruppi di pazienti intorno ai quali ricondurre tutte le risposte, adottando la modalità di lavoro in Team multiprofessionale (unità complesse di cure primarie – Uccp)».
Che cos’è l’unità complessa di cura primaria?«La Uccp rappresenta il team multi professionale funzionale del Primary Care e segna il punto di raccordo della medicina generale con le altre figure territoriali, in primis infermieri ed assistenti sociali, questi ultimi fondamentali per realizzare la vera integrazione tra sociale e sanitario. Le sedi delle unità complesse di cure primarie, saranno strutture territoriali del Distretto/Asl come i gruppi di cura primari (Gcp), le case della salute o altre strutture. Queste potranno essere “semplici” costituendo la sede della sola unità complessa di cure primarie o “complesse” potendo ospitare nella stessa struttura altri servizi dell’azienda (a esempio Sert, Dsm, riabilitazione, uffici amministrativi) e anche letti di cure intermedie».
Sul tema della sostenibilità del sistema e sul rapporto pubblico/privato si è espressa Mariella Enoc, Vicepresidente Fondazione Cariplo: «Nella riorganizzazione sanitaria le strutture private devono diventare più sfidanti». Ed ha approfondito.
«In una fase di riorganizzazione sanitaria non possiamo dimenticare il rapporto pubblico-privato che svolge una sua peculiarità. In questo rapporto, a mio avviso le strutture private devono diventare più sfidanti e non semplicemente soggetti di secondo piano, perché possono aprire le loro porte a esperimenti sul territorio. Tutto questo perché il privato deve e può agire, a differenza del pubblico, con maggiore libertà nel creare dei modelli. Diversamente continuerà ad essere visto come un vorace mangiatore di risorse non valutando ciò che invece può fare in senso positivo per il cittadino. Oggi non dimentichiamoci che nella crisi e nella povertà di salute che esiste molte strutture private stanno dando ai cittadini – per eliminare anche il gravoso problema delle liste di attesa – la possibilità di curarsi sostenendo costi molto bassi e questo vuol dire diminuire la spesa pubblica e dare un buon servizio ai cittadini».
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