Eurispes: farmaci e imperialismo sanitario

Il caso Avastin, il costosissimo farmaco a causa del quale l’Antitrust ha sanzionato Roche e Novartis che avrebbero fatto cartello per venderlo a prezzo maggiorato, probabilmente non è un caso isolato. L’Eurispes già due anni fa, nel Rapporto Italia 2012, aveva dedicato ampio spazio a questo spinoso argomento. In quell’occassione parlammo un vero e proprio imperialismo sanitario. La classifica delle prime dodici compagnie farmaceutiche stilata da Fortune 500 fa emergere chiaramente che esse sono tutte concentrate in pochi paesi (con forte preferenza statunitense), e connotate dalla “chilometricità” delle denominazioni, composte da diversi cognomi. Questi ultimi denotano una sorta di “nobiltà economica”, dal momento che derivano dal processo di fusione che continua a caratterizzare il settore farmaceutico, restringendo sempre di più il novero delle grandi aziende: è da qui che nasce la definizione di “Big Pharma”, a indicare una sorta di moloch, un sistema farmaceutico altamente concentrato e oligopolistico, che determina la condizione di salute o di malattia di milioni di persone.
Alla pari di ogni altra industria che opera nel mercato globale, la sanità necessita sempre di nuovi sbocchi e di allargare l’universo dei potenziali clienti e per fare questo si dota anche di un imponente marketing. Parlando di ricerca medica, è presumibile pensare che il bilancio delle aziende farmaceutiche sia dedicato in buona parte allo sviluppo e ai laboratori. Risulta apparentemente anomalo, quindi, che la voce più consistente, a livello di budget, fosse destinata nell’anno 2000 al non ben specificato “marketing e amministrazione”, peraltro ben differenziato, al proprio interno, poiché il 35% dei dipendenti delle case farmaceutiche era impegnato nel reparto marketing e il 12% in quello amministrativo, secondo i dati di PhRMA. Perché le aziende farmaceutiche hanno bisogno di un così imponente ufficio marketing? La risposta è semplice: per vendere i farmaci. L’elenco degli 8 farmaci più venduti negli Stati Uniti, messi a confronto con le rispettive quote pubblicitarie, mettono in evidenza come, ad esempio, per un antiulcera si siano spesi in promozione 79,4 milioni di dollari con un ritorno di vendite di circa 3.649 milioni di euro.
«Il mancato accesso ai farmaci, anche a quelli essenziali – sottolinea il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – è spesso dovuto a una motivazione così semplice che non si riesce a estirpare: la povertà. Quest’ultima, come è intuibile, è legata a filo doppio con la malattia: i poveri si ammalano di più, sia perché impossibilitati a curarsi, sia perché solitamente vivono in condizioni socio-ambientali che facilitano la proliferazione di morbi e virus. Senza dimenticare poi le cosiddette malattie ‘neglette’ che hanno la sfortuna di essere state ormai debellate nelle aree più ricche del mondo globale e di concentrarsi quasi esclusivamente nelle aree sottosviluppate, in quei paesi dotati di scarsa influenza politica ed economica, nelle zone prive di copertura mediatica. Sono malattie ‘dimenticate’ – conclude Fara – perché non fanno notizia nell’Occidente e non godono di attenzione politica».
In più – come ulteriore aggravante – non producono profitti, ma solamente perdite: curare tali malattie costituirebbe un “fardello economico” per una industria farmaceutica che considera la malattia come un mercato, al pari degli altri. Sia le “malattie neglette”, sia quelle “rare” sono vittima del diniego del mercato farmaceutico, seppur per motivi diversi: le malattie che coinvolgono una fetta minoritaria della popolazione (per quanto si parli sempre di diverse migliaia di pazienti) non hanno una domanda sufficiente a stimolare gli appetiti delle case farmaceutiche. Le “malattie neglette” o “malattie della povertà” offrono, di contro, un mercato sterminato, data la loro diffusione numerica, ma difficilmente “solvibile”, in quanto posizionato in aree depresse. L’apatia delle case farmaceutiche nei confronti delle malattie trascurate e molto trascurate si accentua negli ultimi anni e si concretizza nel limitato numero di nuovi farmaci, alcuni dei quali, peraltro, risultano essere nuove formulazioni o combinazioni di entità chimiche già conosciute. L’associazione Medici Senza Frontiere ha calcolato che, nel periodo dal 1975 al 1999, le case farmaceutiche hanno sviluppato ben 179 medicinali contro le malattie cardiovascolari (che pure incidono per non più dell’11% sul totale mondiale delle patologie). Le malattie dimenticate, invece, producono annualmente oltre mezzo milione di morti. Le poco conosciute “malattie neglette” si sovrappongono inoltre alle tre “grandi malattie” (Hiv/Aids, malaria e tubercolosi), rendendo complicata la cura anche di queste ultime e ostacolando una oggettiva mappatura del carico di malattie di cui soffrono le popolazioni dei Sud del mondo.