Prende spunto dalle ultime operazioni svolte a Catania dalle forze dell’ordine contro la criminalità organizzata – 4 in meno di due mesi con 149 persone in carcere – il dibattito su “Etica, Legalità e Sviluppo: quale modello per le imprese siciliane?”. L’iniziativa, promossa da Gaetano Mancini, vicepresidente nazionale di Confcooperative e presidente delle federazione in Sicilia, ha coinvolto ieri pomeriggio al Centro Zo autorevoli esponenti del mondo della giustizia (Procuratore della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi), delle istituzioni (il sindaco Enzo Bianco), delle imprese (Ivan Lo Bello, vicepresidente nazionale di Confindustria) e dell’associazionismo (Umberto Di Maggio, coordinatore in Sicilia di Libera). All’invito di Confcooperative hanno aderito decine di rappresentanti delle istituzioni, del mondo delle imprese e delle cooperative, delle organizzazioni di categoria e di quelle sindacali. Moderatore il giornalista Salvo Fallica. L’esordio, in cui ha dato atto al Procuratore Salvi dei risultati importantissimi sotto il profilo della repressione del crimine, affidato a Gaetano Mancini: “Un messaggio positivo, che soddisfa le imprese sane, ma ci sono ancora troppe distorsioni nella vita reale: dal rapporto eletto/elettore, basato sullo scambio piuttosto che sull’interesse collettivo, e la tolleranza dell’abusivismo, visto come ‘ammortizzatore sociale’ che in realtà crea concorrenza impropria fra le imprese”. A tal proposito Mancini ha annunciato la proposta avanzata da Confcooperative all’assessore regionale Linda Vancheri per un protocollo di legalità con le Prefetture per la vigilanza delle coop associate. Il sindaco Enzo Bianco, reduce dal secondo tentativo di intimidazione per il quale raccoglie la solidarietà dei presenti, ha sottolineato i numerosi segnali positivi (i 149 arresti degli ultimi due mesi) ma denuncia “Siamo di fronte a organizzazioni criminali che hanno una impressionante capacità di controllo del territorio. Ripristinare condizioni di rispetto delle regole non può farlo un sindaco o una giunta, ma la città intera che non può tollerare illegalità diffuse come l’abusivismo commerciale”. Umberto Di Maggio ha raccontato della potenza della busta paga che a Corleone i contadini impegnati da qualche anno a lavorare le terre confiscate alle mafie esibiscono al bar: “Ha un potere pedagogico pazzesco. Per loro è la conferma che Antimafia, Legalità non sono solo parole e annunci: è qualcosa di visibile, concreta e, in famiglia, diventa cibo che si porta a tavola. Con l’Antimafia a Corleone si mangia”. Quindi l’intervento di Ivan Lo Bello che denuncia una “mafia borghese, più pericolosa di quella che chiede il pizzo e spaccia droga. Una mafia che guida processi pubblici e distorce il mercato perché non obbedisce alle regole della sana concorrenza: merito, qualità e innovazione”. Le conclusioni sono state affidate al Procuratore Giovanni Salvi che si è soffermato su come mettere a frutto l’ingente patrimonio di beni confiscati alla mafia. In corso un censimento (“solo di terreni agricoli – ironizza – siamo grandi latifondisti) e a breve l’incontro operativo con la Commissione Parlamentare Antimafia guidata da Rosy Bindi. “Certe aziende – ha detto Salvi – sono simboli ed è giusto che restino alla collettività: non possiamo liquidarle o venderle. Un caso-modello è quello del Lido dei Ciclopi, gestito molto bene dall’amministratore Giuffrida. Ma occorre capire quali imprese non potranno sopravvivere, perché basate su principi di illegalità, e quali invece potranno andare avanti e per farlo hanno bisogno di un affidamento. E’ una responsabilità grande che sentiamo e nel procedere vorremmo che le azioni sui beni confiscati diano ricchezza e occupazione alla città”.