Nel giorno della Festa dell’Europa, le parole del premier Matteo Renzi sull’apertura dell’Italia alla “crescita e occupazione come valori costitutivi dell’Unione” non possono che trovare il consenso dei lavoratori e di chi difende i loro diritti: rimane però il fatto che oggi il nostro Paese risulta al primo posto per numero di condanne di infrazione rispetto al diritto comunitario, con 250mila euro di multa al giorno comminati per la bellezza di 114 procedure Ue non rispettate. “È un’emergenza che ci costa centinaia di milioni”, ha scritto solo quattro giorni fa il quotidiano La Repubblica. Tanto è vero che “siamo ultimi per il rispetto il livello di illegalità nel rispetto delle regole comuni ai 28 paesi dell’Unione”.
Se da una parte, nel nostro Paese a parole si chiede di esaudire quelle che sono le direttive europee, anche sull’occupazione, dall’altra, sul piano pratico, si continua a eludere in modo sistematico quanto indicato dell’Unione. Con il risultato che questo comportamento danneggia le casse dello Stato italiano e pure il bilancio comunitario.
I dati più aggiornati sui precari della Pubblica amministrazione, emessi di recente dalla Ragioneria Generale dello Stato, indicano che sono quasi 310mila le unità di personale a tempo determinato: quasi la metà appartengono alla scuola, oltre 140mila, poi vi sono 167mila precari in forza ad altri comparti (con presenze maggiori nelle Regioni ed autonomie locali, quasi 53mila posti, e nelle forze armate, oltre 39mila). Lo studio nazionale ha anche dimostrato che nella scuola, dove si assume pochissimo rispetto al numero di posti vacanti (125mila) e all’enorme mole di precari vincitori di concorso, pubblico o riservato (oltre 300mila), la spesa per i supplenti è passata in cinque anni da 512,69 milioni di euro a 861,10 milioni di euro, con un incremento del 68%.
“È giunto il momento – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – di stabilizzare questi precari. Altrimenti i buoni auspici sull’incremento dell’occupazione si perderebbero nel nulla. Nella scuola questa situazione di blocco potrebbe essere rimossa entro l’anno dalla Corte di Giustizia Europea: che metterebbe così la parola fine sulla questione sulla compatibilità della normativa italiana, avallata con la Legge 106/2011, rispetto alla direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a termine, la 1999/70/CE. Ma anche all’assenza di risarcimento del danno prodotto a docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari che hanno svolto almeno tre anni di supplenze”.
“Però il problema del mancato recepimento delle direttive europee in fatto di stabilizzazioni del personale – continua Pacifico – riguarda anche altri comparti. Ad iniziare dalla Sanità, dove il Decreto Balduzzi, approvato nel maggio del 2013, ha di fatto condannato alla precarietà decine di migliaia di precari. I quali nella PA continuano ad avere riservato un trattamento denigratorio e riduttivo: basti pensare al fatto che in Italia un lavoratore a tempo determinato non può candidarsi come Rsu. Anche in questo caso in dispregio della normativa UE”.