Gli insegnanti italiani svolgono un’enorme mole di lavoro sommerso: lavorano in media 1.643 ore annue, che equivalgono ad un normale impiego a tempo pieno, pari a circa 36 ore a settimana per 45 settimane l’anno. Peccato che guadagnano un buon 30% in meno di altre categorie, anche non intellettuali, come gli operai specializzati. Il dato è contenuto in un’ampia ricerca commissionata della Giunta provinciale dell’Alto Adige, che è andata a indagare sull’impegno lavorativo annuale di 5.200 insegnanti su 7.400 complessivi della provincia trentina.
La ricerca ha fatto emergere che i prof delle scuole superiori, con 1.677 ore annue, lavorano poco più di quelli delle medie (1.630 ore). Quelli di ruolo sono impegnati per 1.660 ore, mentre i supplenti poco meno (1.580 ore). Ma soprattutto, la ricerca ha fatto emergere che il lavoro “oscuro”, la metà delle 1643 ore complessive, si deve alle tante incombenze burocratiche che un insegnante italiano è chiamato quotidianamente ad assolvere: colloqui con i genitori, riunioni con i colleghi, compilazione dei registri, stesura di relazioni e programmazioni e progetti, preparazione delle lezioni, correzioni dei compiti degli alunni. Oltre che per la formazione, peraltro quasi sempre a proprie spese.
La rivista specializzata Orizzonte Scuola ha provato a quantificare quanto vale il lavoro sommerso degli insegnanti. “Considerando che un’ora dovrebbe essere retribuita 17,50 euro, il lavoro ‘silenzioso’ per ogni docente ha un valore pari a circa 14mila euro annue. Calcolo approssimativo che non tiene conto di diversi fattori, a partire dai diversi gradi di scuola, ma che fornisce un’idea del fenomeno. Se proprio vogliamo parlare di merito – continua la rivista – partiamo dal riconoscimento del lavoro sommerso. In fondo era uno dei punti del programma del Partito Democratico in campagna elettorale, quando l’ex responsabile scuola del PD prometteva più soldi a chi corregge i compiti a casa".
“Il problema – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che nell’opinione pubblica prevale l’idea del docente che svolge solo le ore frontali con gli alunni. Ma questo errore di fondo lo fa anche il Ministro Giannini quando dice che vuole presentare un nuovo contratto con aumenti solo legati al merito. Come si fa a fare una proposta del genere quando tutti gli insegnanti hanno di fatto lo stipendio fermo dal 2009 e corroso dall’inflazione che nel frattempo ha corso di più di 4 punti percentuali? E cosa diciamo ai nostri insegnanti quando ci dicono che a fine carriera un collega dell’area Ocde guadagna il 30% in più, pari a quasi 8mila euro l’anno?”
A proposito di confronto internazionale, solo alcuni giorni fa ANSA-Centimetri, ha prodotto una tabella, pubblicata da ‘The social post’ utilizzando gli ultimi dati del Rapporto Eurydice 2013: è stato messo a confronto lo stipendio degli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori in Italia con quello dei pari grado in altri paesi europei. Il risultato è a dir poco disarmante: in Svezia le buste paga dei docenti sono ben oltre il doppio di quelle dei nostri, la Francia ci sovrasta, la Germania non è nemmeno paragonabile ed anche la martoriata Spagna assicura ai propri insegnanti stipendi molto più dignitosi di quelli assegnati a chi sta dietro alla cattedra nel nostro Paese.
Ora però, dopo aver preso atto dei risultati della ricerca commissionata dalla Giunta provinciale dell’Alto Adige, sappiamo che non dobbiamo andare oltre confine per assistere a certe sperequazioni. Lo studio trentino ci dice infatti che non è nemmeno più giustificabile dire che un insegnante guadagna poco perché lavora poco. Conti alla mano, si è dimostrato che considerando le ore di impegni extra, svolti a scuole e a casa, fare l’insegnante non comporta alcun vantaggio a livello di tempo lavorativo.
“La realtà è che mentre i rappresentanti dei governi che si succedono – continua il sindacalista Anief-Confedir – continuano a parlare di rilancio della scuola e della professione del docente, gli altri comparti di lavoro ottengono contratti più vantaggiosi. Mentre il pubblico impiego rimane fermo a seguito dell’approvazione della riforma Brunetta del 2009, che non prevede più aumenti legati alle Leggi Finanziarie. Con questo andare, inoltre, si manda un messaggio sbagliato alle nuove generazioni: a cosa serve laurearsi, specializzarsi, abilitarsi all’insegnamento, vincere i pubblici concorsi se poi un diplomato che ha imparato a svolgere un professione specializzante guadagna attorno ai 1.800 euro netti mensili? Mentre un insegnante, anche della scuola media e superiore, rimane fermo per tutto il periodo del precariato e per i primi 10 anni dopo l’immissione in ruolo su stipendi di poco superiori ai 1.200 euro?”.