Sprofondo Sud, dopo i tagli dello Stato arrivano quelli dei Comuni

Tra il 2007 e il 2012 le amministrazioni comunali del Sud hanno incrementato la spesa complessiva di oltre il 4%, ma non quella per l’istruzione che si è ridotta del 13%: il risparmio nel settore ha toccato, in particolare, l’assistenza agli alunni disabili, gli scuolabus e le mense scolastiche. Il dato è stato pubblicato in queste ore dall’Istat all’interno di una serie di tavole sui Bilanci consuntivi delle amministrazioni locali, elaborate sulla base dei dati su 7.387 Comuni pervenuti all’Istituto nazionale di Statistica dal Ministero dell’Interno nel mese di gennaio 2014.

Dalle elaborazioni dell’Istat risulta che il disinvestimento delle spese per il supporto all’Istruzione è un fenomeno che riguarda esclusivamente il Sud: per gli stessi capitoli di spesa, infatti, sempre nello stesso quinquennio 2007-2012, i Comuni delle Regioni centrali hanno speso il 4% in più. Al Nord l’incremento è stato ancora maggiore, pari all’8%. L’unica voce scolastica che ha fatto registrare incrementi anche al Meridione è quella dei servizi per l’infanzia. Nel cercare di fornire un’interpretazione logica al gap di investimenti a favore della scuola, l’Istat ha rilevato che la riduzione dei finanziamenti al Sud è solo in parte giustificata dal calo delle iscrizioni scolastiche: queste ultime sono infatti calate del 4,7%, ma i finanziamenti sono stati tagliati tre volte di più.

Quelle dell’Istituto nazionale di Statistica sono indicazioni da prendere in seria considerazione, perché, come ha spiegato proprio l’Istat, “l’elaborazione garantisce un’informazione tempestiva sui conti consuntivi delle amministrazioni locali” e “consente la conoscenza e la valutazione dei flussi finanziari tra livelli di governo e rende informazioni sull’evoluzione dei processi di decentramento amministrativo e fiscale”.

“I tagli dei Comuni alle spese per l’Istruzione Meridionale costituiscono un segnale davvero scoraggiante – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché si sommano a quelli denunciati dal nostro sindacato, a seguito dei calcoli ragionieristici dello Stato, per via di una seppure modesta riduzione di alunni. Basta dire che ignorando gli altissimi tassi di dispersione, di disagio sociale e di deprivazione culturale, negli ultimi due-tre anni l’amministrazione ha tagliato su tutti i fronti: docenti, scuole, insegnanti di sostegno, risorse”.

Quando si tratta di ridurre i finanziamenti, i disabili sembrano il “bersaglio” preferito delle istituzioni: solo nell’ultimo biennio, al Sud e nelle Isole sono stati cancellati oltre 4mila posti di sostegno, di cui 2.275 in Sicilia e 900 in Campania. Inoltre, delle 22mila assunzioni di docenti sostegno programmate per il prossimo anno, attraverso il D.L. 104/13, l’80%, quasi 18mila, si effettueranno al Nord: al Centro rimarrà ben poco, con il Sud che rischia di rimanere quasi “a bocca asciutta”. Le regioni più penalizzate, con assunzioni ridotte al lumicino, saranno Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia. Il risultato è che i docenti di sostegno precari continueranno annualmente a cambiare scuola, non garantendo quella continuità didattica che nel caso dell’apprendimento degli alunni disabili è fondamentale. E tutto questo avviene malgrado il numero di alunni disabili sia in continua ascesa.

La carenza è anche nelle strutture di cui fruiscono gli alunni portatori di handicap. A Bologna nei prossimi giorni, dal 21 al 24 maggio, se ne parlerà anche all’Exposanità, l’evento nazionale dedicato alla sanità e all’assistenza in programma: presentando gli ultimi dati pubblicati dall’ufficio di statistica del Miur e dall’Istat sulle strutture scolastiche per alunni disabili, si dirà che “il Mezzogiorno presenta la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici a norma”, strutture indispensabili per favorire un apprendimento migliore e una vera integrazione scolastica.

La tendenza a sfoltire il corpo insegnante del Sud riguarda pure i docenti delle materie curricolari: nel prossimo anno scolastico si perderanno 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna, 504 in Sicilia. Tranne l’Umbria, che perderà comunque appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno invece un numero maggiore di docenti. E di recente, la Fondazione Agnelli ha rilevato che, tra il 2009 e il 2012, soprattutto a seguito delle “misure volute dai ministri Gelmini e Tremonti con la legge 133/2008”, sono state riscontrate “importanti differenze regionali, con province del Sud, dove la popolazione studentesca è in forte calo, che hanno registrato diminuzioni dei docenti di ruolo fino al 18%”. I tagli maggiori al corpo docente di ruolo hanno riguardato tutte province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.

Il problema è che si stanno sottraendo docenti proprio dove ce ne sarebbe più bisogno: se si consulta l’ultimo Focus del Miur sulla “dispersione scolastica”, si scopre che le zone dove gli alunni iscritti, sia nella scuola di primo che di secondo grado, presentano un “maggior rischio di abbandono” scolastico prima dei 16 anni sono Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. Anche a livello universitario, quest’anno sono stati registrati picchi di abbandono del 55%. Per chiudere il cerchio, Anief-Confedir ha rilevato, attraverso un apposito dossier sul fenomeno dei Neet, che complessivamente in Italia vi sono 2 milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, 23,9% di quella fascia d’età: il numero di gran lunga maggiore di giovani che non lavorano e non studiano è radicato sempre Sud. Con zone, dove il fenomeno riguarda un giovane su due, dove la fuga al Nord e all’estero diventa l’unica soluzione all’appiattimento.

L’incuranza per Comuni e Regioni del Sud è a 360 gradi. Scorrendo l’ultimo rapporto territoriale Abi–Censis, realizzato su dati Istat, è emerso che l’area dove lo “squilibrio socio-economico” maggiore è sempre quella del Mezzogiorno. E lo stesso, tranne rare eccezioni, vale per quelle che hanno il più “basso tenore di crescita” a livello di “potenzialità rurale” o che sono “a rischio involuzione”. Mentre Friuli, Trentino, Veneto, Lombardia e Piemonte fanno da traino.

Indicativo è anche il resoconto sul cosiddetto ‘dimensionamento’ scolastico, la riduzione di istituti autonomi per effetto delle loro soppressione o fusione con altre sedi più grandi. Secondo uno studio dell’Anief, gli effetti dei tagli avviati nel 2000 e culminati con la Legge Tremonti-Gelmini 111/2011, hanno portato il rapporto tra sedi direzionali e plessi decentrati o istituti accorpati da 1 a 5 a 1 a 7. Con il 66,5% dei tagli delle scuole autonome che è avvenuto al Sud-Isole. La ‘mazzata’ finale al progetto di cancellazione di plessi e scuole autonome è arrivata nel 2012, quando sono stati cancellate in maniera illegittima 1.567 scuole autonome, tra circoli didattici, istituti comprensivi e medie: più del 60% riguardano il Sud e le Isole.

“Riteniamo che queste dinamiche – spiega ancora Marcello Pacifico – vadano esaminate con attenzione, per predisporre adeguate contromisure. Si stanno infatti accumulando in aree del Paese già depresse, dove si registra il più alto tasso di Neet e di disoccupati. Non è un caso se al Sud si continuano a perdere alunni e cattedre in misura doppia, a volte tripla, rispetto alle indicazioni dell’UE. E puntare sui risultati delle prove Invalsi potrebbe rappresentare un’ulteriore penalizzazione: siccome è evidente che nelle condizioni strutturali, sociali e culturali sopra descritte gli alunni di determinate zone del Sud abbiano conoscenze e competenze più basse, che senso ha somministrare loro gli stessi quesiti di chi vive in realtà scolastiche e locali di ben altra caratura?”.

“Anziché puntare su prove standardizzate tutte da verificare – conclude il sindacalista Anief-Confedir – l’amministrazione dovrebbe pensare ad introdurre più risorse e organici potenziati, ad iniziare dal numero dei docenti da assegnare al Sud, svincolati dalla quantità di alunni ma legati all’alto grado di difficoltà sociale e culturale”.