La recente approvazione da parte della Commissione Giustizia della Camera di una proposta di modifica dell’attuale normativa sul divorzio, proponendone la riduzione dei tempi processuali, apre a una più approfondita riflessione sul concetto di famiglie. «Famiglia e diritto sembrano evocare due mondi inconciliabili. L’una rimanda ai sentimenti primitivi degli esseri umani, in grado di condizionarne l’esistenza; l’altro rappresenta lo spazio delle regole del vivere comune e, dunque, a differenza della prima, ispirato ai princìpi di generalità e astrattezza» afferma l’avv. Andrea Catizone, Direttrice dell’Osservatorio sulle Famiglie dell’Eurispes. Queste due realtà devono trovare punti di convergenza nell’universo giuridico che regolamenta e determina il modo attraverso il quale gli affetti devono svolgersi. «Sarebbe ed è sbagliato collocare oggi tale dibattito nel solco delle divergenze tra il mondo cattolico e non. La famiglia, oggi più che mai è quell’aggregato di persone che, al di là dei vincoli di sangue, per loro natura indissolubili, fa unire soggetti in nome di un sentimento supremo che è l’amore per l’altro o l’altra».
La normativa attuale prevede, quale presupposto per il divorzio, che la separazione tra i coniugi si sia protratta, ininterrottamente per almeno tre anni dalla decisione del Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione. La legge sul divorzio dovrebbe affermare in modo pieno il diritto individuale a scegliere con chi e in che modo vivere la propria esistenza. L’interruzione di un rapporto di coppia attraverso il divorzio breve – che in meno di un anno, in applicazione delle norme comunitarie, rende possibile la fine di un matrimonio – è uno dei temi che hanno assunto rilevanza nel dibattito pubblico. Chiamati a esprimersi sull’introduzione di una norma di questo tipo, gli italiani si dichiarano favorevoli nella larghissima maggioranza dei casi. Secondo le rilevazioni dell’Eurispes (2014) si tratta di circa otto italiani su dieci (84%). A essere contrario è invece il 15%, le cui remore sono probabilmente ascrivibili al credere profondamente nell’indissolubilità del vincolo matrimoniale e al ritenere che abbassando le “barriere all’uscita” del legame che regola la vita di una coppia sposata si possa portare le persone ad affrontare con più leggerezza questo passo. Si tratta di un orientamento stabile e ben radicato presso l’opinione pubblica come confermano i dati rilevati negli ultimi tre anni: se i favorevoli al divorzio breve in assenza di prole erano l’82,2% nel 2012, sono passati all’86,3% nel 2013 per attestarsi all’attuale 84%. Il divorzio breve renderebbe quindi possibile, in presenza di consensualità e in assenza di figli, la possibilità di porre fine al matrimonio entro un anno dalla separazione, limitando costose e logoranti lungaggini. Basti pensare che l’Eurispes ha stimato in circa 50 milioni di euro annui i costi che il sistema giudiziario, e quindi, lo Stato deve sostenere per separazioni e divorzi, con un costo medio di 815 euro a procedimento. A questo importo va aggiunta la perdita di retribuzione dei due coniugi che devono assentarsi dal lavoro sia per incontrare i propri legali che per presentarsi alle udienze: una cifra che arriva a circa 2.400 euro a coppia. La maggior parte dei procedimenti inoltre è assistito da due legali che le parti devono pagare di tasca propria: le spese per l’assistenza legale vanno da 3.000 euro (per una separazione consensuale) a 13.000 (a esempio per una causa di divorzio). Chiaramente il divorzio breve non eliminerà questi oneri, ma sicuramente potrà contribuire a calmierarli, sia per quanto riguarda quelli sostenuti dagli ex coniugi sia per quelli di cui deve farsi carico lo Stato.