La direttiva sullo stabilimento degli avvocati ha lo scopo di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato (come libero professionista o come lavoratore subordinato) in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale; la professione può tuttavia essere esercitata solamente con il titolo professionale di origine. Tale direttiva prevede che l’autorità competente dello Stato membro in cui l’avvocato si stabilisce proceda alla sua iscrizione su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso l’autorità competente dello Stato membro in cui ha ottenuto il titolo. Due cittadini italiani (i sigg. Angelo Alberto e Pierfrancesco Torresi), dopo aver conseguito in Italia la loro laurea in giurisprudenza, hanno ottenuto una laurea in giurisprudenza in Spagna. Il 1° dicembre 2011 sono stati iscritti come avvocati nell’albo dell’Ilustre Colegio de Abogados de Santa Cruz de Tenerife (ordine degli avvocati di Santa Cruz de Tenerife, Spagna). Il 17 marzo 2012 hanno chiesto al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata (Italia) la loro iscrizione nella «sezione speciale dell’albo degli avvocati». Tale sezione raggruppa gli avvocati in possesso di un titolo rilasciato in uno Stato membro diverso dall’Italia, ma stabiliti in quest’ultimo paese.
Poiché il consiglio dell’ordine di Macerata non si è pronunciato entro i termini previsti, i sigg. Torresi si sono rivolti al Consiglio Nazionale Forense («CNF») per ottenere una decisione in merito alle loro domande di iscrizione. Essi sostengono che le norme vigenti subordinano le iscrizioni a una sola condizione, vale a dire la presentazione del «certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine» (in questo caso, la Spagna). Dato che, nella fattispecie, tale condizione è stata soddisfatta, i sigg. Torresi ritengono che avrebbero dovuto essere iscritti nell’elenco.
A parere del CNF, i sigg. Torresi non possono avvalersi della direttiva sullo stabilimento degli avvocati ove l’acquisizione del titolo in Spagna abbia il solo scopo di eludere la normativa italiana sull’accesso alla professione e costituisca pertanto un abuso del diritto di stabilimento. Il CNF chiede quindi alla Corte di giustizia se le autorità competenti di uno Stato membro possano rifiutare, a motivo di un abuso del diritto, l’iscrizione nell’albo degli avvocati dei cittadini di tale Stato che, dopo aver conseguito una laurea nel proprio paese, si siano recati in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e abbiano in seguito fatto ritorno al primo Stato membro per esercitarvi la professione con il titolo professionale ottenuto nel secondo Stato. Nella sua odierna sentenza, la Corte rammenta anzitutto che, al fine di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello di conseguimento della qualifica professionale, la direttiva sullo stabilimento degli avvocati istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli degli avvocati migranti che desiderino esercitare la professione con il titolo di origine. Il legislatore dell’Unione ha inteso in tal modo porre fine alle disparità tra i requisiti d’iscrizione nazionali, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione. La direttiva mira quindi ad armonizzare completamente i requisiti applicabili al diritto di stabilimento degli avvocati. La Corte ha già statuito il certificato di iscrizione nello Stato membro di origine è l’unico requisito cui è subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, affinché detto interessato possa esercitarvi facendo uso del proprio titolo professionale di origine. La Corte sottolinea che ai singoli non deve essere consentito di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione e che uno Stato membro ha il diritto di adottare ogni misura necessaria per impedire un’elusione abusiva della normativa nazionale da parte dei suoi cittadini. A tale riguardo, la Corte ricorda che l’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva richiede un elemento oggettivo (ossia che lo scopo perseguito dalla normativa dell’Unione non deve essere stato raggiunto, nonostante il rispetto formale della medesima) e un elemento soggettivo (cioè che deve emergere una volontà di ottenere un vantaggio indebito). Ciò premesso, la Corte dichiara che, in un mercato unico, la possibilità, per i cittadini dell’Unione, di scegliere lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo e quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.
Il fatto che il cittadino di uno Stato membro, in possesso di una laurea conseguita nel proprio paese, si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi il titolo di avvocato e faccia in seguito ritorno nel proprio paese per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nell’altro Stato membro è la concretizzazione di uno degli obiettivi della direttiva e non costituisce un abuso del diritto di stabilimento. Neppure la circostanza che la domanda di iscrizione all’albo degli avvocati sia stata presentata poco tempo dopo il conseguimento del titolo professionale nello Stato membro di origine costituisce un abuso del diritto, poiché la direttiva non prescrive un periodo di esperienza pratica nello Stato membro di origine. La Corte ne trae la conclusione che non costituisce una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro in possesso di una laurea si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia ritorno nel proprio paese per esercitarvi avvalendosi del titolo professionale ottenuto nell’altro Stato membro.