Contratti bloccati fino a tutto il 2015? La legge è sbagliata, il blocco esisteva già

Sul blocco degli stipendi per il pubblici impiego, la Legge di Stabilità approvata il 15 ottobre dal CdM ha di fatto solo ribadito quanto contenuto un anno fa nella Legge 144/2013 durante il Governo Letta: attraverso il comma 1 dell’Art. 21 del Titolo III della Legge di Stabilità, l’esecutivo proroga anche al 2015 quanto previsto dall’articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

“Nel quadro a legislazione vigente – si leggeva nel DEF 2014 – la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020”.

È stato quel provvedimento, quindi, ad allungare il blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, già introdotto con l’art. 9, comma 21 del D.L. 78/2010. E con il blocco dell’indennità di vacanza contrattuale, “congelata” sino al 2017, considerando che la Legge si riferisce al comma 17 dell’art. 9 della Legge 122/2010, i valori stipendiali del personale del pubblico impiego sono destinati a rimanere fermi per 7 anni. Quelli della scuola addirittura per 8, perché bloccati dal 2009.

“Non c’era alcun bisogno – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – di bloccare i contratti del pubblico impiego per un altro anno. Perché era stato già stabilito precedentemente. Come non c’era assolutamente bisogno di mettere da parte i fondi per assumere i 150mila docenti precari del comparto Scuola. Perché questi soldi verranno assorbiti attraverso il blocco del primo gradino stipendiale dei neo-assunti”.

“Tanto è vero che per accedere all’aumento di stipendio, un precario dovrebbe aver accumulato bene tredici anni di supplenze complessive. La verità, quindi, – conclude Pacifico – è che non c’era alcun motivo di sancire ulteriori risparmi sulla pelle dei dipendenti pubblici”.