Le diseguaglianze vanno a discapito non solo, come è ovvio, degli svantaggiati, ma di tutta la collettività. Secondo un recente rapporto dell’Ocse, la disparità di reddito, in Italia, è costata tra il 1990 e il 2010 ben 7 punti di Pil. In questo periodo, siamo cresciuti di circa 8 punti, quando saremmo potuti crescere di 14,7. Abbiamo perso, dunque circa 7 punti di Pil. Analogamente, nei Paesi appartenenti all’Ocse, la perdita è stata di 8,5 punti. Il legame con le discrepanze reddituali è fortissimo: nei Paesi economicamente più avanzati, il 10 per cento più ricco della popolazione, negli Anni ’80, guadagnava 7 volte più del 10 per cento più povero. Ad oggi, la differenza è cresciuta fino a 9,5 volte. In Italia, si è passati a 10,5 volte, dalle 9 precedenti. Contestualmente, è aumentato anche l’indice di Gini, l’indicatore che misura le diseguaglianze sociali, passando – sia nella media Ocse che in Italia – da 0,29 a 0,32. Ebbene, se tali dinamiche sono ormai note, è la prima volta che si evince la correlazione tra diseguaglianze e freno alla crescita. Secondo le teorie degli economisti parigini, anzitutto, il gap si è ripercosso non soltanto sull’ultimo decile della popolazione (ovvero sul 10 per cento più povero) ma su tutto il 40 per cento della popolazione con reddito più basso. Tale circostanze hanno minato “l’opportunità di istruzione per i soggetti svantaggiati, riducendo la mobilità sociale e ostacolando lo sviluppo delle competenze” e, di conseguenza, “ostacolando la crescita di capitale umano“.