Governo allunga età e requisiti di altri 4 mesi, nella scuola scatta la grande fuga?

L’accesso alle pensioni diventa sempre più ritardato: è in arrivo un decreto interministeriale, Mef e Ministero del Lavoro, che dal primo gennaio 2016 posticiperà di ulteriori quattro mesi l’età e i requisiti per accedere alla pensione. L’adeguamento per accedere all’assegno di quiescenza è stato realizzato dall’Istat sulla base delle nuove speranza di vita, come previsto da una norma approvata dall’ultimo Governo Berlusconi che prevedeva il ritocco dei requisiti con cadenza triennale: nel 2013 il salto in avanti fu di tre mesi, ora se ne farà uno ancora più lungo.

Per gli attuali lavoratori che pensavano di lasciare l’occupazione come i loro padri, in media attorno ai 60 anni, il futuro non promette nulla di buono: detto che la riforma Fornero ha disposto che dal 2019 l’adeguamento dell’età avverrà ogni biennio, le proiezioni sui requisiti sull’accesso al pensionamento anticipato sono davvero sconfortanti: tra 15 anni, nel 2030, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia solo oltre i 68 anni; mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà aver versato attorno ai 44 anni di contributi.

“Anief lo denuncia da anni – spiega il suo presidente Marcello Pacifico -: in Italia la normativa sulle pensioni sta diventando insostenibile. Basta dire che nell’ultimo quinquennio, le riforme sulla quiescenza hanno allungato di dieci anni l’età pensionabile: dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. E dal 2016, assisteremo ad ulteriori modifiche alla Legge Monti-Fornero: il parziale adeguamento alla speranza di vita con quattro mesi in più per andare in pensione di vecchiaia o contributiva. Eppure nel comparto scuola, l’Italia ha già superato il record mondiale di età dei docenti: più della metà ha più di 50 anni”.

“‎È da anni – prosegue Pacifico – che a conclusione dei seminari Anief si discute del tema. E la risposta è sempre uguale: c’è una delega, strappata dall’ex ministro Tremonti, che dal 2013 autorizza la presidenza del Consiglio dei Ministri ad agire autonomamente per adeguare le speranze di vita degli italiani all’erogazione delle pensioni. L’ex ministro Elsa Fornero aveva chiesto al Parlamento di allungare di sei anni. Ora, in sordina, come ultimo regalo dell’anno sono computati altri quattro mesi”.

“Per i giovani tutto ciò è un disastro, a dispetto della parità retributiva e contributiva. Proprio su questo aspetto Anief valuterà se adire le vie legali. Come quando nella decurtazione del 30 per cento della liquidazione si decise con i sindacati di trattenere comunque il 2,5 per cento del TFR, a differenza del privato dove non c’è alcuna trattenuta per il Trattamento di fine rapporto. Su questi temi – conclude il presidente Anief – il sindacato non starà a guardare e ricorrerà in tribunale”.

Intanto, preoccupati dell’innalzamento esasperato dei requisiti, proprio nella scuola si starebbe prospettando un alto numero di prossimi pensionamenti: dopo il dimezzamento dell’ultimo anno, dovuto agli effetti della riforma Fornero, sarebbero 30mila – in prevalenza docenti, ma anche amministrativi, tecnici, ausiliari e Dsga – in procinto di lasciare il servizio dal prossimo 1° settembre: la metà avrebbe già confermato, gli altri dovranno decidere entro due settimane (la domanda va presentata entro il prossimo 15 gennaio). “In questo dato, tra l’altro, – riporta la rivista Orizzonte Scuola – non è stato preso in considerazione il personale femminile che potrebbe beneficiare dell’opzione donna e il personale che al momento è dispensato dal servizio per motivi di salute”. Se alla fine dovessero decidere di andare via in gran numero, si potrebbe raggiungere il record del 2007, quando lasciarono il servizio oltre 35mila dipendenti della scuola.

Stavolta, però, la maggior parte dei docenti e Ata valuterà solo all’ultimo momento: dovranno verificare sino a che punto varrà la pena non andare più a scuola, poiché dovranno poi fare i conti con un assegno di quiescenza decurtato. Inoltre anche del 25-30 per cento. E siccome “per più di quattro pensionati su dieci l’assegno non arriva neppure a mille euro al mese”, oltre la metà (il 52%) delle donne, è evidente che in questo modo si sta andando sempre più verso un Paese a rischio povertà in età avanzata. Non dimentichiamo, infatti, che “il potere d’acquisto delle pensioni è in caduta libera: in 15 anni è diminuito del 33%”.

Negli altri Paesi moderni va molto meglio che da noi: si va in pensione maturando un assegno sulla base dei contributi versati, senza decurtazione. Come in Francia, dove l’età minima di pensionamento pur essendo stata innalzata, prevede comunque di lasciare la scuola a 62 anni. E in Polonia e a Cipro l’età minima per lasciare il lavoro in cambio di una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio svolti, senza decurtazione, è fissata a 55 anni. Poi ci sono diversi altri, tra cui Belgio, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo (pag. 93 dell’ultimo Rapporto Eurydice della Commissione europea ‘Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa’), dove, allo stesso modo, è possibile ottenere “una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio richiesti”.

Mentre in Italia l’unico criterio che è prevalso è stato ancora una volta quello della salvaguardia dei conti pubblici. Proprio con la riforma Fornero si è andati a tirare fuori dal “cilindro” la speranza di vita: sostenendo, in pratica, che poché si vive più a lungo (le donne oltre gli 85 anni) occorre andare in pensione più tardi. Ma qualora le aspettative crescenti non dovessero realizzarsi, si è anche provveduto ad introdurre una salvaguardia, sempre a tutela dello Stato e non certo dei lavoratori: dal 2022, infatti, la Legge 224/2011 prevede che comunque l’età di pensionamento non potrà essere inferiore ai 67 anni per tutti.