Il prezzo del barile del petrolio è arrivato a 51 Usd (la metà rispetto a sei mesi fa) ed è “allarme” mondiale perchè la maggior parte dei padroni del petrolio (Arabia Saudita, Iraq, Iran e Kuwait) dovrebbero ridurre gli investimenti per l’estrazione, così come le maggiori aziende multinazionali come ExxonMobil, Shell e Total. Dalla parte del consumatore finale, due sono gli aspetti su cui ci soffermiamo.
1– il prezzo alla pompa in Italia, a parte alcuni ridicoli centesimi, non accenna a diminuire. Certamente il calo del petrolio di questi ultimi mesi non può avere un riflesso immediato sui prezzi finali, ma abbiamo dei profondi dubbi che ciò accada nei prossimi mesi quando il prodotto raffinato sarà tale dopo aver usufruito della materia prima a prezzi dimezzati (non è la prima volta che al calo del petrolio, nei mesi successivi non è successo praticamene nulla ai prezzi al dettaglio della benzina). Inoltre, la componente fiscale italiana del prezzo al dettaglio (circa il 70%), anche se diminuisse l’”imponibile”, porterebbe a vantaggi irrisori nel prezzo finale. Siamo quindi e comunque condannati ad avere prezzi alti per un prodotto di consumo di cui, visto il modello di vita e di sviluppo in auge, non possiamo farne a meno. Dire che siamo sudditi anche in questo, e’ pleonastico e conseguenziale alla sudditanza politica.
2- Gli scenari delle grandi banche sul calo di investimenti sono ovviamente apocalittici. La Deutsche Bank ci fa sapere, per esempio, che se il barile non e’ a livelli piu’ alti, il budget dei Paesi Opec ne sarebbe altamente compromesso. Quindi le logiche in vigore del mercato del petrolio starebbero compromettendo la stabilità economica di Paesi “disgraziati” come la Libia (che avrebbe bisogno di un prezzo del barile più del triplo di quello attuale, 184). Che poi i libici abbiano problemi di stabilità economica essenzialmente come conseguenza della mancanza di quella democratica e civica, non è materia in discussione nell’ambito delle gelide analisi dei numeri del petrolio. E qui sta il problema -a nostro avviso- determinante: può il mero assecondamento della stabilità economica garantire felicità e benessere a loro e a noi (che ne subiamo le conseguenze con gli emigrati che fuggono, per esempio dalla Libia, non certo per venire a fare i turisti in Italia e in Europa)? Non solo: ma felicità e benessere può essere garantita (ovunque) con l’uso massiccio di materie prime energetiche che non solo hanno un limite oggettivo, ma che provocano inquinamento sempre più mortale per tutti?
I due aspetti su cui ci siamo soffermati, accennandoli brevemente, ci portano a ritenere che l’approvvigionamento energetico che stiamo vivendo non è un sistema, ma un regime dove sfruttatori e sfruttati sono sempre i soliti: padroni e sudditi. Padroni del petrolio che sono foraggiati dai padroni del capitale internazionale per continuare ad essere tali anche in nome di una loro stabilita’ economica (e poco importa che, in genere, sono Paesi in cui le pratiche della democrazia e del rispetto dell’individuo, siano inesistenti e fortemente combattute). Sudditi che, mediamente, nei Paesi produttori sono allo stremo per deficit di democrazia, liberta’ e benessere; mentre nei Paesi cosiddetti ricchi, sono sudditi allo stremo per deficit di qualita’ della vita, anche perche’ con molta difficolta’ possono scegliere, per esempio, di non usare un mezzo pubblico o un riscaldamento non inquinante. Regime mondiale, per l’appunto.
Siamo quindi preoccupati per le multinazionali e i Paesi produttori che stanno tagliando investimenti, e le relative conseguenze sul deficit economico nei Paesi ricchi e poveri? Stante lo scenario/regime di cui sopra, sinceramente non lo siamo. Non ci entusiasma essere obbligati a scegliere (regime per l’appunto) tra morire di fame; o mancanza di democrazia, giustizia e libertà; o inquinamento; o mancanza di lavoro… visto che in un regime col barile a 51 Usd o col barile a 118 Usd questi scenari sono sempre tali. La parola -speriamo- passi alla Politica, che sappia cogliere l’occasione per -con urgenza- rivedere i capisaldi di questo regime… ammesso che abbiano tempo tra una promessa mediatica e un’altra.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc