Il tasso di imprenditorialità – calcolato come rapporto tra numero di lavoratori indipendenti e totale dei lavoratori delle imprese – sfiora il 30% in Italia, il più elevato fra i paesi dell’Unione europea nel 2012. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Istat ‘Noi Italia’. Tra le maggiori economie dell’area, Germania e Francia presentano quote decisamente più contenute (8,4 e 7,4%). Sul territorio nazionale, la propensione all’imprenditorialità è maggiore nel Mezzogiorno (37%) che nel Centro-Nord (28%). La dimensione media delle imprese italiane è pari a 3,9 addetti ed è tra le più contenute a livello europeo: solo Portogallo, Slovacchia, Repubblica Ceca e Grecia presentano valori inferiori.
Sotto il profilo territoriale, la dimensione media risulta più bassa nel Mezzogiorno (2,8). Il turnover lordo delle imprese, che fornisce una misura del grado di dinamicita’ di un sistema economico, in Italia è pari al 15%. I valori sono alquanto diversificati a livello regionale: una maggiore instabilità si riscontra nel Mezzogiorno, mentre il Nord-est si caratterizza per una minore nati-mortalità delle imprese. A livello europeo, l’Italia mostra valori di turnover lordo più bassi rispetto alla maggior parte dei paesi per i quali è possibile il confronto e vicini a quelli di Francia e Germania. La struttura produttiva dell’economia italiana, prosegue l’Istat, appare altamente diversificata a livello territoriale. Rispetto alla media nazionale, nel Mezzogiorno prevalgono le microimprese, sia di servizi sia dell’industria, nel Nord-ovest è più diffusa la grande industria, nel Nord-est le micro e piccole imprese dell’industria e nel Centro le grandi imprese dei servizi.
Cresce, segnala infine il rapporto, il ruolo delle donne nelle istituzioni non profit attive in Italia. Le lavoratrici retribuite sono 636 mila, circa il doppio dei colleghi maschi, e rappresentano quasi il 67% del totale. Tra i dirigenti la quota delle donne e’ appena inferiore al 36%. Sale anche il numero delle imprese innovatrici: negli anni 2010-2012 a quota di imprese innovatrici sale da 31,5 a 35,5% rispetto al triennio precedente. L’industria si conferma il settore più innovativo, con il 45,4% di imprese innovatrici contro il 29,5% dei servizi e il 20,3% delle costruzioni.
In ambito europeo, emerge ancora dal report dell’Istat, l’Italia si posiziona al di sopra del valore medio dell’Unione; una propensione all’innovazione inferiore a quella italiana si registra tra gli altri in Francia, Regno Unito e Spagna.
Se dalle imprese giungono segnali positivi, il mondo del lavoro sembra ancora bloccato. Su 3 milioni che nel 2013 non hanno cercato lavoro, ma avrebbero voluto lavorare, quasi la metà, il 46,4%, è scoraggiato: un ‘esercito’ di 1,5 milioni di persone, cioè, che una occupazione neppure più la cercano convinti che non riuscirebbero a trovarla. A scattare la fotografia di quella parte di Paese deluso dal mercato del lavoro, sono i dati Istat contenuti nel Report ‘Noi Italia 2015′ che annota come siano d’altra parte “persistenti meccanismi di scoraggiamento che deprimono l’ingresso nel mercato del lavoro di ampie fasce di popolazione”.
In generale il tasso di mancata partecipazione italiano, di coloro cioè che si dichiarano disponibili a lavorare pur non cercando attivamente lavoro, è stato nel 2013 pari al 21,7% rispetto al 20% dell’anno precedente. Un dato molto al di sopra della media Ue28 il cui tasso si attesta invece al 14,1% consegnando l’Italia al quarto posto di una classifica al rovescio con il valore più alto dopo Spagna, Grecia e Croazia. Una distanza dal resto d’Europa che si è accresciuta negli anni di crisi, dice ancora l’Istat: se nel 2008 l’indicatore risultava superiore a quello europeo di 5,8 punti, nel 2013 il divario arriva a 7,6 punti. Il valore più basso spetta invece alla Germania con il 6,5%.
Le più sfiduciate le donne italiane con una quota del 26,1% mentre gli uomini costituiscono il 18,3% del totale. Un divario in “lieve diminuzione” a causa di un “più forte peggioramento” della situazione maschile. Nella media europea invece il tasso delle donne (14,9 per cento) è superiore a quello degli uomini (13,4 per cento), con un divario di genere di 1,5 punti.