Con la Buona Scuola è in arrivo una piccola “rivoluzione” per l’accoglienza e l’istruzione dei bimbi fino a sei anni: secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, il Governo intende cancellare le attuali “barriere tra nidi e materne”, introducendo un nuovo modello formativo con l’infanzia scolastica che “non avrà più cesure: andrà tra zero e sei anni, ininterrottamente”. L’obiettivo dell’esecutivo, contenuto nei decreti prossimi all’approvazione in CdM, prevede che il nido “non sia più un servizio a domanda individuale, di carattere sociale. Sarà un servizio generale, di carattere educativo. Tutto viene incardinato sotto la responsabilità unica del Ministero dell’Istruzione”. Però la gestione rimarrà dei Comuni.
Anief ritiene tale prospettiva, frutto di un progetto di legge sull’estensione dell’educazione prescolare su tutto il territorio nazionale, lungamente discusso nelle commissioni Cultura di Camera e Senato, sicuramente un passo in avanti. Tuttavia per fare un vero salto di qualità, per il bene prospettico dei nostri bambini, diventa basilare introdurre l’anticipo scolastico a cinque anni. La proposta dell’Anief, integrata con l’allargamento dell’istruzione dagli attuali 16 anni fino alla maggiore età, è stata sottoposta anche alla VII Commissione permanente di Palazzo Madama in merito all’esame del ddl n. 1260, relatore sen. Francesca Puglisi (PD), contenente proprio quelle ‘Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento’ che oggi il Governo ha inserito nel duplice provvedimento in procinto di approvazione.
Dell’opportunità di avviare prima la scuola ne ha parlato il primo quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, attraverso un recentissimo articolo a firma di Ricardo Franco Levi: “la scuola può fare molto, moltissimo, soprattutto per le famiglie più svantaggiate e i bambini meno fortunati. La scuola è lì per questo. Facciamo allora iniziare un anno prima. Portiamo sotto la cura e la protezione della scuola con un anno di anticipo tutti i bambini e con loro, in primo luogo, quelli che a cinque anni, in molte regioni e soprattutto nel Mezzogiorno, stanno non in un’aula ma nella strada, e contribuiremo (quasi certamente con poca o nessuna spesa aggiuntiva) a ridurre una grave fonte di ineguaglianza e di ingiustizia”.
“Ma non è tutto. Anticipiamo di un anno l’ingresso nella scuola primaria e daremo un sollievo importante a tutte le strutture e a tutti i soggetti, pubblici e privati, impegnati nella cura e nell’educazione dei bambini da zero a cinque anni, agevolando, così, l’estensione di questi servizi sociali fondamentali, distribuiti in modo gravemente diseguale da Nord a Sud, a una fascia sempre più ampia della popolazione. È compito e impegno della Repubblica – ha detto il presidente Mattarella citando l’articolo 3 della Costituzione e certamente memore della sua passata esperienza come ministro della Pubblica istruzione – «rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza». Partiamo dalla scuola”.
Anief ritiene questa visione della formazione della prima infanzia molto realista: anticipare la scuola dei bambini, infatti, significa offrire loro, in particolare a quelli più svantaggiati, quei servizi sociali che un Paese moderno deve assolutamente mettere a disposizione. E per fare ciò, per anticipare l’avvio della scuola primaria, è indispensabile approvare una riforma dei cicli. Inglobandovi l’estensione dell’obbligo scolastico dagli attuali 16 fino ai 18 anni di età.
Ora, anticipando a 5 anni l’inizio della didattica e coprendo con l’obbligo formativo tutti i cicli scolastici, con gli ultimi anni prima del conseguimento del diploma di maturità passati a contatto con le aziende, grazie al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro, si eleverebbe di sicuro la presenza di giovani sui banchi. Senza incidere nella spesa dello Stato, si ridurrebbero infatti gli abbandoni. Che si concretizzano, in prevalenza, tra i 15 e i 18 anni: un problema drammatico soprattutto nel Mezzogiorno, perché più di uno studente su dieci lascia proprio in quella fascia di età.
“Portando l’obbligo scolastico a 13 anni – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir -, si permetterebbe ai nostri bambini di poter essere guidati prima nella sempre più difficile gestione del flusso sempre più esteso di informazioni e stimoli esterni. E successivamente, facendoli a stare a scuola fino ai 18 anni, come accade in molti Paesi Ue, si riuscirebbe finalmente a realizzare un’azione di contrasto contro quei sempre più crescenti numeri sui giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano: un ‘esercito’ che si allarga di mese in mese, con oltre 2 milioni 250 mila ragazzi, uno su quattro, sottratti ormai stabilmente a formazione e impiego”.
Anief ricorda che in Europa l’obbligo formativo fino a 18 anni è già previsto in molti casi: proprio per ridurre i tassi di abbandono precoce, oltre ad assicurare a tutti gli studenti un titolo di studio, in tredici Paesi la durata dell’istruzione obbligatoria a tempo pieno è stata prolungata di uno o due anni, o perfino di tre come nel caso del Portogallo a seguito a recenti riforme. E anche l’inizio prima dei 6 anni è già ampiamente sperimentato con successo, visto che in dieci paesi l’istruzione obbligatoria è stata anticipata di un anno (o addirittura di due, come in Lettonia). E la partecipazione dei bambini di 3 anni all’istruzione preprimaria è ormai quasi totale in Belgio, Danimarca, Spagna, Francia e Islanda. Con paesi, come l’Ungheria, dove il corso di studi totale dura anche 13 anni: ben tre più del nostro.