Dal Governo continuano a giungere ammissioni sulle nefaste conseguenze della riforma pensionistica Monti-Fornero: nella tarda serata di ieri, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ha dichiarato che la "legge Fornero è fatta male. Una serie di problemi abbiamo cercato di risolverli. Dobbiamo trovare una risposta a questo problema che è all’ordine del giorno. O dal punto di vista pensionistico o da quello degli ammortizzatori sociali”. Lo stesso ministro ha aggiunto, però, che i tempi di attuazione delle modifiche non saranno a stretto giro di posta: qualche intervento legislativo di modifica potrebbe giungere con il cosiddetto decreto ‘Povertà’ di giugno, ma per ritoccare in meglio l’impianto pensionistico bisognerà aspettare l’approvazione della Legge di Stabilità 2016.
“Come sindacato dei lavoratori della scuola e del pubblico impiego – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non possiamo accettare questo modo di fare politica, rimandando decisioni su danni legislativi che stanno distruggendo la vita di migliaia di famiglia. È un modo di procedere che non è più tollerabile. Le opportunità per risolvere la questione dei 4mila ‘Quota 96’, in prevalenza docenti che avevano iniziato l’anno scolastico 2011/12 sapendo di andare in pensione e rimasti bloccati sino a oggi, ci sono state. In lungo e largo”.
“A fornirle è stata anche Anief-Confedir, che ha presentato diversi ricorsi contro la Legge Fornero, già nel 2011, e chiesto diverse modifiche in Parlamento: le ultime, attraverso appositi emendamenti alla Legge di Stabilità approvata a fine dicembre. È esemplare, quanto accaduto in estate, quando, trovato l’accordo delle Camere, ci ha pensato il Governo – con quattro emendamenti approvati dalla commissione Affari costituzionali del Senato al decreto di riforma – a bloccare il via libera ai ‘Quota 96’”.
“Eppure nel comparto scuola, l’Italia ha già superato il record mondiale di età dei docenti: più della metà ha più di 50 anni, solo lo 0,5% ne ha meno di 30. Intanto gli anni passano, attualmente siamo arrivati a ‘Quota 103’, tra contributi ed età anagrafica: qualcuno muore prima di lasciare il lavoro. Qualcun altro, nella scuola, continua a dare tutto se stesso ai nostri studenti, ma con lo stato d’animo di chi doveva stare in pensione ormai di due anni e mezzo. È giunto il momento – conclude Pacifico – di prendersi ognuno le proprie responsabilità”.
La stretta sulle pensioni, vale la pena ricordarlo, è un’ingiustizia tutta italiana: in Germania, dove la crisi economica si fa sentire come da noi, si continua comunque ad andare in pensione dopo 27 anni di contributi. Nel nostro Paese, invece, servono quasi il doppio dei contributi. E di recente l’accesso alle pensioni è stato ulteriormente ritardato, attraverso un decreto interministeriale, Mef e Ministero del Lavoro, che dal primo gennaio 2016 posticiperà di ulteriori quattro mesi l’età e i requisiti per accedere alla pensione.
Nel nostro Paese, la normativa sulle pensioni sta diventando insostenibile. Basta dire che nell’ultimo quinquennio, le riforme sulla quiescenza hanno allungato di dieci anni l’età pensionabile: dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. E dal 2016, assisteremo ad ulteriori modifiche alla Legge Monti-Fornero: il parziale adeguamento alla speranza di vita con quattro mesi in più per andare in pensione di vecchiaia o contributiva.
Nella scuola la situazione è da allarme rosso: l’anno scorso abbiamo assistito al dimezzamento dei pensionamenti, dovuto proprio agli effetti della riforma Fornero. In attesa di avere i dati certi sui prossimi pensionati, la certezza è che da tanti anni in Italia l’unico criterio che è prevalso nel modificare le norme sull’accesso alla pensione è stato quello della salvaguardia dei conti pubblici. Proprio con la riforma Fornero si è andati a tirare fuori dal “cilindro” la speranza di vita: sostenendo, in pratica, che poché si vive più a lungo (le donne oltre gli 85 anni) occorre andare in pensione più tardi. Ma qualora le aspettative crescenti non dovessero realizzarsi, si è anche provveduto ad introdurre una salvaguardia, sempre a tutela dello Stato e non certo dei lavoratori: dal 2022, infatti, la Legge 224/2011 prevede che comunque l’età di pensionamento non potrà essere inferiore ai 67 anni. Per uomini e donne.