Le scuole sono sempre più in difficoltà economica e riescono ad organizzare sempre più a fatica i corsi di recupero degli alunni con carenze formative: in più di qualche istituto quest’anno sono stati proposti solo a pagamento. Sono indicazioni davvero preoccupanti quelle che giungono da un ampio sondaggio, condotto dal portale Skuola.net, sui corsi formativi supplementari introdotti con l’articolo 2 dell’ordinanza ministeriale 92/2007, voluta dall’allora ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni: “nel 37% dei casi gli studenti denunciano che non sono stati organizzati dalla propria scuola. Quando invece succede, per 1 studente su 10 sono a pagamento”.
Il portale studentesco “ha chiesto a circa 3.000 ragazzi tra i 14 e i 19 anni se nelle loro scuole siano stati organizzati corsi di recupero in seguito alle pagelle di metà anno, e quasi 2 su 5, il 37%, hanno dichiarato che ciò non è successo. Il problema è che i corsi di recupero hanno un costo, e non tutti gli istituti hanno la possibilità di far fronte a questa spesa. Così la soluzione, a volte, può essere chiedere denaro alle famiglie. Quando i corsi di recupero ci sono, infatti, in 1 caso su 10 sono a pagamento”. Inoltre, “solo il 18% dei ragazzi sostiene che nella sua scuola esiste la possibilità di frequentarli per tutte le materie, mentre la maggior parte, circa il 45%, vive una situazione di compromesso”, con i corsi attivati solo “per alcune delle materie dell’offerta formativa”.
Ma non è tutto: detto che “la soluzione in alcuni casi è chiedere un contributo ai genitori”, per gli studenti che pagano, i costi cominciano ad essere tutt’altro che simbolici: risultano “sotto i 50 euro nel 70% dei casi, mentre circa 1 studente su 5 dichiara che nel suo istituto si pagano tra i 50 e i 100 euro a corso. Per 1 su 10, invece, il prezzo supera i 100 euro”. Non è un bel segnale, poi, quello che riguarda un ragazzo su quattro: nel 25% dei casi, i corsi di recupero sono attivati “durante le ore mattutine, presumibilmente organizzando periodi di ripasso collettivo. Questo permette alle scuole di evitare di trattenere gli insegnanti oltre l’orario, cosa che avrebbe i suoi costi. Un altro metodo adottato è quello di delegare ai "primi della classe" il recupero degli studenti insufficienti. Succede nel 5% dei casi”, fortunatamente, ma è davvero un bruttissimo campanello d’allarme. Senza dimenticare che 1 studente “su 3 metterà mano al portafoglio e ricorrerà alle ripetizioni private”. E dove non sarà possibile, “1 su 2 si metterà sui libri cercando, in tutta solitudine, di colmare le proprie lacune tramite uno studio matto e disperatissimo”.
La situazione sta peggiorando di anno in anno: solo qualche settimana fa gli autori della trasmissione ‘Presa Diretta’, su Rai Tre hanno ricordato che le scuole negli ultimi dieci anni hanno aspettato inutilmente oltre 500 milioni di euro che sarebbero dovuti servire al loro funzionamento ordinario, tanto che alcuni istituti vantano crediti dal Miur per oltre 300mila euro e tante famiglie sono dovute subentrare proprio per far svolgere attività di recupero e progettuali. Anche il saldo dei finanziamenti dell’anno in corso è negativo: dei 1.480 milioni di euro che il Miur ha destinato al Miglioramento dell’offerta formativa, utili anche a far svolgere corsi recupero e di integrazione degli alunni, oggi sono rimasti solo 642mila euro da suddividere per oltre 8.400 scuole.
“È un dimezzamento che fa gridare allo scandalo – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché mentre il Governo continua a parlare di Buona Scuola e di rilancio dell’istruzione pubblica, gli accordi sottoscritti sono orientati all’opposto. Sempre con il via libera degli altri sindacati, anche loro in disaccordo con chi amministra la scuola solo quando sono lontani dai tavoli di confronto. Quando si tratta di decidere, invece, si rivelano accondiscendenti e sottoscrivono accordi a perdere. È esemplare quanto stabilito dall’articolo 2, comma 1, del contratto collettivo nazionale del 13 marzo 2013, che in cambio della salvaguardia di quegli scatti di anzianità, di cui il personale avrebbe avuto comunque diritto, hanno dato il loro assenso al ‘saccheggio’ dell’unica indennità annuale utile a finanziare corsi di recupero e attività di completamento della didattica”.
“Non bisognava essere un esperto di scuola – continua il sindacalista Anief-Confedir – per comprendere che gli agnelli sacrificali di questa politica sarebbero stati il personale scolastico, gli alunni e le famiglie. Anziché andare ad eliminare i veri sprechi dello Stato, ad iniziare da quelli ancora ancora presenti nella politica, si è pensato di mettere mano al cosiddetto Miglioramento dell’offerta formativa: un capitolo di spesa fondamentale per le scuole, che senza questi fondi si condannano al disservizio”.
“La vicenda dei corsi di recupero assegnati in sempre più scuole a ex docenti, ora in pensione, fa parte dello stesso comune denominatore: si costringono i dirigenti scolastici a condurre gli istituti in modo ‘creativo’. I quali, per portare a termine la mission formativa arrivano ad organizzare i corsi a pagamento oppure ad assegnarli ai pensionati. Intanto, si lasciano fuori dalle assunzioni almeno 100mila docenti abilitati, i neo-assunti si lasciano con la stessa busta paga per un decennio e bloccati nella stessa provincia per almeno tre anni, tutti i docenti e Ata si inquadrano con stipendi 4 punti sotto l’inflazione e si creano i presupposti – conclude Pacifico – per mandare i docenti e Ata più giovani con meno del 50 per cento dell’ultimo stipendio. Può essere questa la Buona Scuola?”.