“La decontribuzione triennale per i nuovi assunti a tempo indeterminato e le misure del Jobs act daranno luogo, come riportato nella Relazione tecnica alla Legge di Stabilità del 2015, a 1 milione di nuovi contratti incentivati”. A dirlo è il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi, che ha analizzato gli effetti delle misure introdotte in questi ultimi mesi dal Governo Renzi in materia di lavoro. A seguito della Legge di Stabilità, infatti, le aziende che quest’anno assumeranno un dipendente con un contratto a tempo indeterminato potranno beneficiare dello sgravio totale dei contributi Inps per 36 mesi. Inoltre, lo stesso provvedimento ha stabilito la deducibilità integrale, dal calcolo della base imponibile Irap, della componente del costo del lavoro per tutti i lavoratori alle proprie dipendenze assunti con un contratto stabile. Grazie al Jobs act, inoltre, coloro che sono stati assunti a tempo indeterminato usufruiscono, dal 7 marzo scorso, delle tutele crescenti, misura che dovrebbe incentivare il ricorso alle assunzioni stabili.
Un mix di misure che, come dicevamo più sopra, dovrebbe garantire 1 milione di nuovi assunti che, tuttavia, non necessariamente si tradurrà in un aumento di pari importo della platea occupazionale presente nel Paese. Infatti, è molto probabile che una buona parte di questi contratti incentivati sia il risultato della trasformazione di contratti precari in contratti a tempo indeterminato.
“Al lordo degli effetti fiscali – prosegue Bortolussi – la decontribuzione totale Inps in capo alle imprese dovrebbe costare alle casse dello Stato 1,86 miliardi di euro nel 2015, 4,88 miliardi nel 2016 e oltre 5 miliardi nel 2017. L’operazione, ovviamente, avrà una coda anche nel 2018, pari a 2,9 miliardi di euro. Complessivamente, il costo per i nostri conti pubblici dovrebbe essere di circa 15 miliardi di euro”.
Queste misure, rivolte prevalentemente a favorire l’ingresso e/o la stabilizzazione dei giovani nel mercato del lavoro, dovrebbero attenuare anche la cosiddetta “fuga dei cervelli” che, in realtà, è un fenomeno che da noi presenta una dimensione più contenuta rispetto a Paesi coma la Francia, la Germania e la Gran Bretagna.
Nel 2012 (ultimo anno per cui è possibile realizzare la comparazione tra i principali Paesi Ue) quasi 68 mila italiani hanno cancellato la propria residenza in Italia per trasferirsi all’estero; si tratta di un fenomeno che non accenna ad arrestarsi, come confermano i dati nazionali riferiti al 2013. Tuttavia, l’analisi dell’emigrazione di autoctoni nei principali Paesi europei mostra come in Italia il fenomeno sia sopravvalutato. Se rapportiamo il numero di emigrati di ciascun Paese ogni 1.000 abitanti, notiamo che in Italia l’incidenza è pari a 1,1: è un dato inferiore a quello registrato in Germania (1,2), nel Regno Unito (2,2), nei Paesi Bassi (3,4) e in Francia (2,9). L’analisi riferita alla fascia d’età compresa tra i 20 e i 34 anni evidenzia come i giovani che lasciano la nazione d’ origine siano intorno al 35 per cento quasi tutti i Paesi presi in considerazione, tranne il Regno Unito: oltre la metà degli emigranti britannici è composta da giovani tra i 20 e i 34 anni. Anche in questo caso la “fuga” dei giovani dall’Italia, seppur in forte aumento dal 2008, ha dimensioni più contenute di tutti gli altri Paesi presi in esame in questa comparazione.