La manovra recentemente concordata tra Governo e Regioni segna l’ennesima tappa sulla strada della privatizzazione della sanità. Dopo avere rinunciato al carattere “nazionale” del servizio sanitario, le Regioni si apprestano ad abbandonare la sua prerogativa di “pubblico”, espellendo pezzi di assistenza dal perimetro della tutela pubblica, all’interno di un processo che da 6 anni de-finanzia un sistema complesso chiamato a garantire un diritto dei cittadini costituzionalmente tutelato, condannandolo a una morte annunciata. Ai cittadini non basterà il bonus di 80 euro, concesso peraltro solo a una parte di loro. Alla fine della fiera, comunque, saranno chiamati a pagare caro e pagare tutto.
L’accanimento sul personale, con l’ennesima riduzione delle strutture complesse e semplici, un colpo degno del Totò che vendeva la fontana di Trevi, nega il valore delle competenze professionali ridotte a puro costo da tagliare. Il fumo negli occhi di qualcuno con il miraggio delle competenze avanzate lascia vuote le tasche di tutti, con salari inchiodati al valore nominale del 2010 almeno fino al 2020, e un peggioramento delle condizioni di lavoro che compromette anche lo stato di salute. Le Regioni rinunciano anche a investire sull’edilizia sanitaria per la gioia dei sostenitori del project financing.
Viene allo scoperto il lavoro di quanti, da tempo, parlano e operano per realizzare, sulla rottura della solidarietà fiscale, un sistema povero da lasciare ai poveri. E non incantino le chiacchiere sulla medicina difensiva e la finta accelerazione della legge sulla responsabilità professionale o il revival dell’appropriatezza. Affidata alle grida di super tecnici regionali con l’inevitabile codicillo delle sanzioni per i medici, chiamati, loro e non gli Assessori o i Commissari, alla responsabilità “patrimoniale”, accompagnata o meno alla lapidazione o fustigazione sulla piazza reale o virtuale.
Siamo di fronte ad un tragicomico tentativo di intimidazione dei professionisti e di inaccettabile invasione della loro autonomia per utilizzarli come strumento di controllo dei cittadini e delle strategie di consumo del bene salute. Una manovra di distrazione di massa in cerca di un capro espiatorio che raccoglierà quello che oggi semina.
Questa vicenda porta tre cattive notizie al Ministro Lorenzin. La prima è che le Regioni, come già il Governo di cui fa parte, usano la sanità come un bancomat cui attingere per coprire i loro bilanci in dissesto ed i loro costi della politica in crescita. La seconda è che il diritto alla salute si appresta ad essere declinato non solo in base al CAP ma anche al modello 730. La terza che di questo passo il Patto della salute si può considerare un cadavere cui manca solo il certificato di inumazione. Tra i falsi miti e le leggende metropolitane c’è anche quella dei professionisti come artefici del collasso della sanità pubblica.
Le Regioni scaricano i loro cittadini ed il grande rottamatore preferisce rottamare il servizio sanitario piuttosto che i costi della politica regionale. Meglio comprare ostriche e mutande, Suv e pelletteria che assumere o stabilizzare giovani medici. Triste fine del #cambiaverso.
I cittadini sappiano che da oggi la sanità entra nell’agenda delle campagne elettorali. Prima di votare pensino alla salute e a chi ne fa un mercato buono solo per i più forti. Ma ci sarà ancora chi dice no.