Due famiglie di Brescia e ben 21 risparmiatori di Padova possono tirare un sospiro di sollievo grazie alle vittorie ottenute dai legali di Confconsumatori per proteggere i loro risparmi. Due Banche sono state recentemente condannate in primo grado a Brescia a restituire 60 mila euro (investiti in obbligazioni Lehman) e in appello a Venezia, dove la Corte ha confermato la pronuncia di primo grado del Tribunale di Padova, dando ragione a 21 cittadini che avevano visto sfumare i risparmi investiti in azioni e obbligazioni finite in default.
BRESCIA: LEHMAN, MANCA LA FIRMA DELLA BANCA – Due coppie di risparmiatori avevano visto sfumare la somma considerevole che avevano investito (ciascuna 30 mila euro) in titoli Lehman Brothers. Rivoltisi a Confconsumatori avevano deciso di fare causa alla Banca per tentare di recuperare il proprio tesoretto. Il Tribunale di Brescia, in entrambi i casi, ha riscontrato che nei contratti generali d’investimento sottoscritti dalle coppie (come previsto dall’art. 23 Tuf) mancavano le firme del legale rappresentante dell’Istituto; dunque il Giudice ha annullato i contratti per difetto di forma condannando la banca alla restituzione di entrambi gli investimenti, ovvero 60 mila euro oltre gli interessi e le spese legali. «Confermato un orientamento ormai dominante in giurisprudenza – commentano gli avvocati di Confconsumatori Giovanni Franchi e Marina Peschiera – sulla base del quale sono state vinte diverse cause in materia di “Risparmio Tradito” (Parmalat, Cirio, Lehman ecc.) e altre se ne potranno vincere sempre che non sia decorso il termine decennale di prescrizione».
VENEZIA: OMESSO IL DIRITTO DI “RIPENSAMENTO” – Grazie al Tribunale di Padova i risparmi sfumati in obbligazioni e azioni finite in default erano tornati nelle tasche di 21 investitori. La Banca non si è arresa e ha tentato il secondo grado, ma la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la prima pronuncia. Il Giudice di primo grado, infatti, aveva ravvisato in tutti gli investimenti la violazione dell’art.30 Tuf: sebbene i contratti fossero stati stipulati a domicilio, ai risparmiatori non era stato comunicato per iscritto che avevano un termine di 7 giorni per recedere dal contratto. Come in altri casi, la Corte ha escluso l’applicabilità dell’articolo 56 quater del cosiddetto Decreto del Fare (DL 21 giugno 2013 n.69). «Per la Corte – spiega l’avvocato Giovanni Franchi che ha difeso in giudizio gli associati – non siamo al cospetto di una norma meramente interpretativa, ma di una disposizione creativa applicabile solo da quella data e non ad acquisti di titoli effettuati anteriormente. In altre parole, la sentenza è fondamentale perché sancisce che la nuova norma, introdotta per paralizzare una fondamentale decisione delle Sezioni Unite della Cassazione, non può applicarsi al passato».