È arrivata al rush finale l’approvazione parlamentare della riforma del pubblico impiego: dopo il via libera del Senato al disegno di legge AC 3098, contenente le deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, il documento è approdato da alcuni giorni alla Camera. Dove Ia Commissione Affari Costituzionali ha avviato l’esame del provvedimento e programmato una serie di audizioni, mercoledì 3 giugno sarà la volta dei sindacati, per produrre in tempi rapidi le sue valutazioni sul testo che nelle prossime settimane sarà chiamata ad esprimersi anche l’Aula di Montecitorio. Ora, però, se le norme dovessero sostanzialmente permanere in linea con quelle approvate a Palazzo Madama il 30 aprile scorso, per i lavoratori del comparto lavorativo pubblico si prevedono diverse novità professionali. Anche per il personale della scuola, sinora rimasto escluso dalle regole che governano le altre pubbliche amministrazioni.
La riforma prevede, in particolare, una bella accelerata verso quel processo di privatizzazione della “macchina pubblica” avviata in Italia con una serie di decreti legislativi, il 29/1993, il 165/01 e il più recente 150/09, noto anche come decreto Brunetta, adottate per mere ragioni di risparmio pur recando un danno al servizio e ai lavoratori che vi operano: a dare una spinta in questa direzione è l’articolo 13 del ddl 3098 (‘Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche’), attraverso cui il legislatore vorrebbe produrre importanti modifiche, in particolare, alle norme sull’accesso pensionistico, sulla valutazione del personale e sulle sanzioni da adottare.
Sul primo fronte, quello del pensionamento, con il disegno di legge si intende dare “la facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dell’orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, la possibilità di conseguire l’invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel contempo, nei limiti delle risorse effettivamente accertate a seguito della conseguente minore spesa per retribuzioni, l’assunzione anticipata di nuovo personale”.
“Quella sull’uscita lavorativa anticipata è una facoltà che auspichiamo da tempo – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal – ma non possiamo accettare che il turn over sia caricato tutto sulle spalle dei lavoratori in procinto di lasciare il lavoro per la pensione. Inoltre, per quanto riguarda la scuola, dove aspettiamo da due anni e messo una soluzione per il danno prodotto ai 4mila ‘Quota 96’, costretti a rimanere in servizio per un errore macroscopico della riforma Monti-Fornero, occorre prevedere la possibilità che il personale docente possa rimanere in servizio cambiando mansioni, ad esempio diventando tutor delle nuove leve di insegnanti”.
Il disegno di legge 3098 prevede, inoltre, sempre all’articolo 13, una forma di “semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici, di riconoscimento del merito e di premialità, nonché dei relativi soggetti e delle relative procedure; sviluppo di sistemi distinti per la misurazione dei risultati raggiunti dall’organizzazione e dei risultati raggiunti dai singoli dipendenti; potenziamento dei processi di valutazione indipendente del livello di efficienza e qualità dei servizi e delle attività delle amministrazioni pubbliche e degli impatti da queste prodotti, anche mediante il ricorso a standard di riferimento e confronti”.
Ora, premesso che su valutazione e premialità del personale è intervenuta, di recente, la Legge Brunetta 150/09, va ricordato che si intende continuare a considerare il personale statale come esclusivo portatore di doveri. Sul piano meramente economico, infatti, si continua a sorvolare sul fatto che i pubblici dipendenti percepiscono gli stessi stipendi da cinque anni, quelli della scuola da sei. “Prima di parlare di merito, anche a livello normativo – continua Pacifico – occorre riportare gli stipendi ad un livello dignitoso: quelli dei pubblici dipendenti, invece, sono bloccati da talmente tanto tempo da essere scivolati sotto l’inflazione di 3 punti; chi lavora nella scuola anche di 4 punti. E il pericolo è che la forbice si allarghi, perché l’indennità di vacanza contrattuale, preludio al rinnovo contrattuale, è stata congelata sino al 2018”.
“Tra l’altro – continua il sindacalista – per la scuola abbiamo calcolato che l’aumento di questa indennità sarà di appena 5 euro netti a lavoratore. Nel frattempo, si intende delegare la valutazione del personale all’Invalsi, che però, facendo affidamento a rigidi test standardizzati, sorvola su aspetti non certo marginali sull’operato del personale, come le difficoltà del territorio e le condizioni sociali degli alunni e delle loro famiglie. Come si fa a parlare di merito in queste condizioni?”.
L’ultimo dei tre passaggi a dir poco discutibili, sempre contenuti nella riforma della PA, è quello relativo alla “introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”.
Anche in questo ambito, Anief ricorda che è paradossale pensare di inasprire le sanzioni già esistenti per l’eventuale operato negligente del personale di base, quando la classe dirigenziale e politica continua a non rispondere in prima persona del proprio operato: “pure su questo ambito – dice Pacifico – le norme sulle sanzioni disciplinari dei lavoratori statali sono in vigore da tempo. Nella scuola tutti i rilievi mossi dai dirigenti scolastici nei confronti dei docenti e Ata, sono caduti sistematicamente nelle aule dei tribunali, dove i legali dell’Anief hanno sempre dimostrato l’inappropriatezza delle richieste di sanzioni. Se le sanzioni richieste non sono scattate, non è certo per la mancanza di norme adeguate ma per l’esagerata richiesta apportata dai capi d’Istituto”.
“Piuttosto che andare a vessare dei lavoratori formati e tutti vincitori di un concorso pubblico – conclude il presidente Anief – sarebbe stato molto più utile introdurre una norma che frenasse l’applicazione sistematica dello ‘spoiling system’, la cui incidenza negli ultimi anni è schizzata dall’8% al 20%: una procedura immorale, priva di qualsiasi concezione meritocratica, che ha distrutto la classe dirigente dello Stato e prodotto danni permanenti ai servizi pubblici. La speranza è che alla Camera tutto ciò si consideri”.
Mercoledì 3 giugno, la Commissione Affari Costituzionali riceverà serie di audizioni al fine di acquisire ancora utili elementi di conoscenza e di valutazione di tutte le problematiche e le istanze afferenti il disegno di legge. Tra i sindacati che presentare le loro proposte ed osservazioni al ddl ci sarà anche la Confedir.