Italia terra di conquiste con il boom dello shopping estero nel made in Italy di piazza Affari, che vale sempre di più. Aumenta il valore, ma sono sempre più in mani straniere: il 43% delle società per azioni italiane quotate in Borsa, che hanno visto crescere la capitalizzazione complessiva di quasi 5 miliardi di euro nell’ultimo anno, è posseduto da soggetti esteri. Mentre il 44% di tutte le imprese (anche le non quotate) è controllato dalle famiglie. Da dicembre 2013 a dicembre 2014, il capitale delle spa quotate del nostro Paese è passato da 451,4 miliardi di euro a 456,2 miliardi in lieve crescita di 4,8 miliardi (+1,1%). Sul listino tricolore cresce il peso degli azionisti “non italiani” che ora hanno partecipazioni di imprese quotate della Penisola pari a 196,4 miliardi, il 43% del totale. Predominante e in aumento è il peso delle famiglie nel capitale delle aziende (quotate e non) con partecipazioni pari a 818,8 miliardi, in aumento di 26,8 miliardi. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, sull’andamento del valore delle aziende italiane nell’ultimo anno.
Secondo l’analisi di Unimpresa, basata su dati della Banca d’Italia, da dicembre 2013 a dicembre 2014, si è dunque assistito a un leggero scatto in avanti del valore delle spa presenti sui listini di piazza Affari, ma l’andamento del valore delle quote presenta delle differenze secondo la categoria di azionisti. Le partecipazioni di spa quotate in mano alle imprese italiane a dicembre 2014 valevano 117,8 miliardi (il 25,8% del totale) in diminuzione di 11,6 miliardi (-9%) rispetto ai 129,5 miliardi di dicembre 2013. Le banche continuano ad avere una presenza forte, seppure in calo, nel capitale delle spa quotate con il 6,5%, pari a 29,4 miliardi in calo di 3 miliardi (-9,4%). Lo Stato centrale ha nel suo portafoglio titoli azionari quotati italiani per 12,5 miliardi (il 2,7% del totale), in discesa di 542 milioni (-4,2%) rispetto ai 13 miliardi di un anno prima. A piazza Affari i privati (famiglie) controllano quote pari a 64,7 miliardi (il 14,2% del totale), cresciute di 4,1 miliardi (+6,9%) rispetto ai 60,5 miliardi dell’anno precedente. Gli stranieri controllano il 43% di piazza Affari con partecipazioni pari a 196,4 miliardi in aumento di 12,7 miliardi rispetto ai 183,6 miliardi di dicembre 2013. Complessivamente il valore delle società italiane quotate è salito in un anno di 4,8 miliardi (+1,1%) da 451,4 miliardi a 456,2 miliardi.
Presenza estera sempre più estesa, dunque. Sale, infatti, il peso degli stranieri anche se si estende l’analisi a tutto l’universo delle società per azioni. Le spa italiane, comprese le quotate, valgono (dicembre 2014) 1.843,4 miliardi, in aumento di 46,2 miliardi (+2,6%) rispetto ai 1.797,1 miliardi di dicembre 2013. La ripartizione delle quote è la seguente: le imprese hanno il 13,2% pari a 244,2 miliardi, in calo di 8,1 miliardi (-3,2%) sui 252,4 miliardi di un anno prima. Le banche hanno il 7% pari a 128,9 miliardi, in lieve calo di 6,7 miliardi (-5%) rispetto a 135,7 miliardi. Scende anche la quota dello Stato centrale che ora ha il 5,3% di spa con 98,3 miliardi, in diminuzione di 542 milioni (-0,5%) rispetto ai 98,9 miliardi precedenti. I privati detengono il 44,4% di società per azioni, dato che conferma il carattere familiare dell’imprenditoria italiana, con 818,8 miliardi in aumento di 26,8 miliardi (+3,4%) rispetto ai 791,9 miliardi del 2013. La quota di imprese italiane in mano agli stranieri, che corrisponde al 23% del totale, è aumentata di 25,3 miliardi (+6,4%) da 398,1 miliardi a 423,4 miliardi.
“Se da una parte va valutato positivamente l’aumento del valore delle imprese italiane, dall’altro bisogna guardare con attenzione la presenza degli stranieri e capire fino a che punto si tratta di investimenti utili allo sviluppo e dove finisce, invece, l’attività speculativa” commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “La fortissima crisi che sta colpendo l’Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri, che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi” aggiunge Longobardi.