Docenti italiani i più anziani e meno pagati. Se passa il ddl andrà ancora peggio

In Europa i docenti italiani sono i più anziani e vanno in pensione sempre più tardi, guadagnano meno e operano all’interno di scuole che percepiscono i bassi finanziamenti pubblici: il quadro diventa drammatico se si pensa che gli insegnanti di paesi a noi geograficamente e culturalmente vicini, come – come Francia, Germania e Spagna – possono contare su supporti ben superiori. I dati non sono contestabili, perché sono stati pubblicati in queste ore attraverso il rapporto annuale Eurydice ha messo a confronto i vari sistemi scolastici del vecchio Continente.

Partendo dall’età, scopriamo che l’8,2% dei docenti francese ha meno di 30 anni, mentre in Italia ad avere quell’età sono appena lo 0,4%. Se in Spagna solo il 29,3% dei docenti ha più di 50 anni, nel nostro Paese, anche per via della riforma Monti-Fornero, sfioriamo il 60%. Sul fronte stipendi il gap non è da meno: i docenti spagnoli percepiscono fra i 32mila e i 45mila euro lordi l’anno; i tedeschi tra i 46mila e i 64mila; gli italiani si fermano tra i 24mila e i 38mila euro.

Anche per i finanziamenti pubblici, il resoconto è negativo: nel 2013 l’Inghilterra, dove risiedono 7 milioni di persone in meno rispetto all’Italia, ha speso per l’Istruzione 80 miliardi di euro, la Francia 78 miliardi, il nostro Paese appena 48. “Infine arriviamo alla valutazione dei docenti – scrive la rivista Blasting News -. Bisogna giustamente dire che i paesi Europei che prevedono una valutazione del docente ci sono, ma nessuno d’essi prevede che l’insegnante sia valutato da genitori e alunni, come disposto nella riforma scolastica di Renzi. Se il DDL passasse, porteremmo un primato in Europa”.

Anief non può non ricordare che in Italia sul fronte scolastico si vive una situazione di stallo sempre più preoccupante: nel 2009, infatti, il numero di docenti over 50 era fermo al 52%, mentre oggi si è elevato di quasi 8 punti percentuali. Per quanto riguarda gli stipendi, invece, la povertà dei salari degli insegnanti italiani è stata accentuata dal contratto bloccato dal 2009, a cui nell’ultimo periodo si è aggiunto il dimezzamento dei fondi destinati alle attività aggiuntive. Intanto, negli altri Paesi la crisi economica non frenava di certo l’adeguamento stipendiale dei docenti.

E sulle pensioni c’è poco da ridere: oltre ai danni che arriveranno dalla riforma e all’introduzione totale del sistema contributivo, già oggi “per più di quattro pensionati su dieci l’assegno non arriva neppure a mille euro al mese”. Con oltre la metà di pensionati (il 52%) che devono tenere stretta la cinghia rappresentato proprio da donne. E l’organico della scuola nell’81% dei casi è composto proprio da donne.

Per quanto riguarda, invece, la spesa in rapporto al PIL che lo Stato Italiano si appresta a sostenere per l’Istruzione pubblica è destinata a decrescere, ricordiamo che da una proiezione realizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, risulta che nei prossimi anni il finanziamento pubblico a favore dell’istruzione delle nuove generazioni si ridurrà ulteriormente: fino ad attestarsi, nel 2035, ad una perdita di quasi un punto percentuale (dal 4% al 3,2%).

“I dati pubblicati da Eurydice – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal – non ci sorprendono, perché sono figli dei tagli draconiani attuati da tempo sulla scuola, in particolare a seguito della Legge 133 del 2008, e acuiti dalle riforme pensionistiche. Basta ricordare che se in Italia presto si potrà andare in pensione solo a 68 anni e 43 anni di contributi, in Germania l’accesso all’assegno di quiescenza può ancora avvenire dopo 24 anni e senza decurtazioni”.

Mentre da noi l’unico criterio che è prevalso è stato ancora una volta quello della salvaguardia dei conti pubblici. Basta ricordare che dal primo gennaio 2016 verrà posticipata di ulteriori quattro mesi l’età e i requisiti per accedere alla pensione. L’adeguamento per accedere all’assegno di quiescenza è stato realizzato dall’Istat sulla base delle nuove speranza di vita, come previsto da una norma approvata dall’ultimo Governo Berlusconi che prevedeva il ritocco dei requisiti con cadenza triennale: nel 2013 il salto in avanti fu di tre mesi, ora se ne farà uno ancora più lungo. Perché, ha spiegato il legislatore, si vive più a lungo (le donne oltre gli 85 anni) e occorre lasciare il lavoro più avanti nel tempo.

“Il problema – continua il sindacalista – è che gli insegnanti italiani si invecchiano in cattedra. E per i giovani non c’è più spazio. Anche l’attuale Governo continua su questo andare: nel disegno di legge 1934 è prevista, infatti, l’indizione di un nuovo concorso a cattedre, da attuare nel 2016, che prevede però l’esclusione tra i candidati dei giovani laureati privi di abilitazione. E anche l’ultima selezione nazionale per diventare insegnanti ha escluso i giovani abilitati con il Tfa. A cui non si dà nemmeno la possibilità di inserirsi nelle GaE ed essere assunti, anche quando abbiano svolto 36 mesi di precariato su posti vacanti, come indica proprio l’Unione Europea”.

“Anche per quanto riguarda gli stipendi, non possiamo che prendercela con noi stessi: dal 2008 le buste paga sono bloccate e slegate dall’inflazione, che nel frattempo le ha superate di 4 punti. E le prospettive sono grigie tendenti al nero. Perché non si parla di rinnovo del Ccnl. E lo sblocco dell’indennità di vacanza contrattuale, prevista soltanto dal 2019, – conclude Pacifico – porterà appena cinque euro in più al mese a lavoratore”.