Il Italia il permesso di soggiorno per i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo è sottoposto al versamento di un contributo, fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro, secondo il decreto legislativo n. 286/1998, testo unico sull’immigrazione. Gli importi sono precisati da un decreto del 2011.
Ai sensi della preesistente normativa italiana, tuttora vigente, oltre ai contributi previsti dal decreto del 2011 deve essere versato un importo complessivo di EUR 73,50.
La CGIL e l’INCA hanno chiesto al TAR Lazio l’annullamento del decreto 31/12/2011, sul contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno da parte dei cittadini dei paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo. Hanno fatto valere la natura sproporzionata del contributo. Il costo per il rilascio della carta d’identità in Italia ammonta attualmente a circa EUR 10. Poiché per il permesso di soggiorno l’importo più basso fissato dal decreto del 2011 è di EUR 80, l’onere economico imposto al cittadino dello Stato terzo per ottenere il rilascio del titolo è circa otto volte più elevato. Il TAR Lazio ha ritenuto che occorresse esaminare la compatibilità delle norme italiane con le disposizioni del diritto dell’Unione.
Si rifà alla sentenza del 26/4/2012, Commissione/Paesi Bassi (C-508/10, v. comunicato stampa), secondo cui lo Stato membro rispetta i principi espressi nella direttiva 2003/109 sullao status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo solo se gli importi dei contributi richiesti non si attestano su cifre macroscopicamente elevate e quindi sproporzionate rispetto all’importo dovuto dai cittadini di quel medesimo Stato per ottenere un titolo analogo – ad esempio, la carta nazionale d’identità – (i Paesi Bassi prevedevano un importo pari a circa sette volte l’importo richiesto per la carta d’identità). Nella sua sentenza odierna, la Corte di giustizia ricorda innanzitutto che l’obiettivo principale della direttiva è l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri. La Corte riconosce che gli Stati membri possono subordinare il rilascio al pagamento di contributi e che, nel fissarne l’importo, dispongono di un margine discrezionale. Tuttavia, tale potere discrezionale non è illimitato, non può compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva e deve rispettare il principio di proporzionalità; i contributi non devono creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo.
L’incidenza economica del contributo italiano può essere considerevole a maggior ragione per il fatto che, in considerazione della durata dei permessi e il loro rinnovo deve essere pagato assai di frequente.
La Corte sottolinea, inoltre, che la metà del gettito prodotto dalla riscossione del contributo è destinata a finanziare le spese connesse al rimpatrio dei cittadini dei paesi terzi in posizione irregolare. Essa respinge quindi l’argomento del governo italiano secondo cui il contributo è connesso all’attività istruttoria necessaria alla verifica del possesso dei requisiti previsti per l’acquisizione del titolo di soggiorno.
Per questi motivi, la Corte dichiara che la direttiva 2003/109/CE sullo status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, non ammette la normativa italiana, che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200: siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed può creare un ostacolo all’esercizio dei diritti che essa conferisce.