I giorni passano e la maggior parte dei docenti precari che, già a denti stretti, si era convinta a presentare la domanda di partecipazione al piano straordinario, continua a riflettere se accettare un incarico anche a 800 o mille e più chilometri da casa; a 72 ore dalla scadenza imposta dal Miur per accettare o meno, sta valutando con attenzione, in pratica, se piegarsi al ricatto del Governo di abbandonare figli e anziani, di continuare a pagare il mutuo dell’abitazione e contemporaneamente il nuovo affitto. È un dramma che nella scuola già conosciamo e che l’Anief ha sempre denunciato, da quando il legislatore, nel 2011, ha inibito i diritti ai trasferimenti e ai ricongiungimenti familiari.
Non è un caso se nella stessa Legge 107/2015 è stato previsto un piano straordinario per la mobilità ancora dai contorni confusi. Tutte queste contraddizioni appaiono sempre più evidente e sono confermate dalla titubanza di 4mila precari che, invece di brindare all’assunzione nei ruoli dello Stato, in queste ore stanno valutando pro e contro dell’accettare una nomina che gli potrebbe stravolgere la vita. Professionale e privata. Non a caso, in tanto hanno già detto che rinunceranno e che non dovranno attendere l’ultimo giorno, l’11 settembre, per prendere la decisione finale. Hanno detto no a malincuore, perché ora si ritroveranno pure cancellati della graduatorie, ricacciati indietro anche di vent’anni, costretti a ricominciare daccapo con le supplenze “brevi”. Il tutto, per non aver detto sì ad una proposta di assunzioni ad una distanza proibitiva.
Riflettendo su come si è evoluto il piano di assunzioni, sembrano passati decenni, anziché 12 mesi, da quando il leader del Governo aveva promesso, era il 3 settembre 2014, di assumere tutti i precari delle GaE e delle graduatorie di merito: oggi quello stesso Governo si ritrova con 7mila delle cattedre destinate inizialmente alle assunzioni, praticamente “congelate” e da assegnare, come sempre, in supplenza al 31 agosto dalla seconda e terza fascia delle graduatorie d’istituto. Altrettante, non potranno essere invece assegnate alle scuole autonome, che dovranno approvare il ‘Piano triennale dell’offerta formativa’, sempre che alla domanda corrisponda l’offerta, visto che 10mila domande dei docenti dell’infanzia potrebbero non ottenere una risposta positiva. E poi ci sono quelli che rinunceranno all’ultimo. Per non parlare dell’ultima nota ministeriale che invita le scuole ad accantonare altri 5 mila posti dell’organico dell’autonomia per confermare esoneri e semi-esoneri cancellati dal Parlamento ai vicari.
“Alla fine – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief -, delle 103mila cattedre messe in palio dal Governo, rispetto alle 150mila promesse, saranno appena 70mila, al massimo 75mila, quelle effettivamente assegnate ai precari dal ministro dell’Istruzione, di cui la metà con nomina solo giuridica. E questo sarebbe il mega piano di assunzioni promesso? Perché, a ben vedere, è una cifra molto vicina alle 66mila immissioni in ruolo assegnate a docenti e Ata dal ministro Maria Stella Gelmini nel 2011, l’anno dopo l’apertura della procedura d’infrazione ancora attiva della Commissione UE contro l’Italia sul precariato scolastico e il deposito di migliaia di ricorsi presso i tribunali del lavoro”.
Giunti a questo punto, Anief ritiene che le due procedure (Fase 0 e A – Fase B e C) siano completamente basate su presupposti diversi tali da consentire la permanenza, da parte di chi accetta o rifiuta una proposta di assunzione a seguito delle procedure decretate attraverso il piano nazionale di immissioni in ruolo, sia nelle GaE che nelle graduatorie di merito (riservate ai vincitori dei concorsi a cattedra).