È imminente il bando di concorso attraverso cui il Ministero dell’Istruzione intende selezionare 90mila nuovi insegnanti della scuola pubblica italiana: nelle “prossime tre stagioni – scrive oggi La Repubblica – andranno ad aggiungersi agli 87mila (secondo le ultime proiezioni) stabilizzati con le prime quattro fasi della Buona scuola”. La novità, che farebbe riportare l’Italia indietro di 20 anni, è che “si potrà diventare maestri e prof solo se in possesso di un’abilitazione professionale, possibile per ora con i vecchi percorsi”.
Secondo Anief, quella di limitare agli abilitati l’accesso alla selezione pubblica per diventare docenti, sarebbe una decisione affrettata e ingiusta. Perché se applicata in questo momento, violerebbe il principio di affidamento, a tutela dei candidati al ruolo di insegnanti, derivante dalle procedure sino ad oggi adottate dalla pubblica amministrazione. Procedure che hanno indotto gli stessi aspiranti docenti, a realizzare delle scelte accademiche per ottenere il conseguimento del loro obiettivo professionale.
La possibilità di far accedere al concorso solo candidati già abilitati all’insegnamento era stata prevista nel Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297, il cosiddetto Testo Unico della Scuola, a partire dall’articolo 399. Però cinque anni dopo, in occasione del “concorsone” del 1999, questo paletto fu eliminato: una successiva sentenza del Consiglio di Stato, infatti, stabilì che potevano partecipare anche tutti i laureati sino all’emanazione del bando di concorso. E tale pronunciamento, favorevole al libero accesso di coloro che sono in possesso del regolare titolo accademico richiesto per l’accesso al concorso, è stata di recente ribadita, sempre dal Consiglio di Stato attraverso la sentenza 15/2015, in occasione dell’ultimo concorso a cattedre con D.D.G. per il Personale Scolastico n. 82 del 24 settembre 2012.
“È evidente che organizzare un concorso pubblico – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief – selezionando preliminarmente una vasta platea di candidati è un’operazione che non possiamo accettare. Se si decide di cambiare le modalità di accesso al concorso pubblico per diventare insegnanti, per noi è chiaro che la novità va applicata a partire dall’entrata in vigore della nuova norma. Quindi, va adottata solo dal prossimo anno accademico. Mentre non può di certo essere applicata per il concorso che verrà svolto nel 2016”.
“In caso contrario, si commette una palese ingiustizia nei confronti dei tanti laureati che hanno scelto e tarato le materie accademiche del proprio corso di laurea, sulla base dei piani di studio indicati dal Miur per l’accesso alle classi di concorso, proprio per svolgere questa professione. Cambiare le regole in corsa – continua il presidente Anief – è un’operazione scorretta e illegittima. È chiaro che, se le cose andranno così, il nostro sindacato presenterà specifico ricorso, a tutela di tutti quei laureati esclusi da un bando di concorso mal formulato”.
Allo stesso modo, il giovane sindacato reputa illogico escludere dal nuovo percorso di accesso al sostegno agli alunni disabili, tutti i docenti precari specializzati attraverso i corsi tradizionali e non ancora immessi in ruolo: che senso ha averli formati, attraverso le università e su un numero programmato dal Miur, se poi non si permette loro di partecipare alla selezione specifica per accedere nei ruoli dello stato come docenti di sostegno? Come sorprende l’annuncio fatto dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, di voler avviare un terzo ciclo TFA che però, alla luce delle ultime indicazioni ministeriali, non condurrà a reali possibilità di stabilizzazione. “Sono tutti quesiti – conclude Pacifico – a cui vorremmo che amministrazione e ministro rispondessero con chiarezza”.