Per i lavoratori della scuola è iniziato il conto alla rovescia: il tempo degli scatti automatici delle loro buste paga sta scadendo. L’unica forma di carriera di circa 800mila docenti e Ata è destinata a dissolversi. Perché la Legge 107/2015, adottando il comma 126 e altri a seguire, prevede un meccanismo premiale, ai sensi del Decreto Legislativo 150/2009, che presto riguarderà soltanto i docenti individuati dal dirigente scolastico. Quindi non oltre il 10 per cento o poco più del personale sarà “meritevole” degli aumenti stipendiali: lo stesso ministro Giannini, nel presentare il decreto di ripartizione dei 200 milioni prevista dalla Buona Scuola per il merito, ora sotto la “lente” della Corte dei Conti, ha detto che il fondo “non potrà essere distribuito a pioggia né dato solo a uno o due docenti”.
“In questo modo – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal -, gli altri insegnanti, la stragrande maggioranza, si ritroveranno a lavorare con lo stesso stipendio per l’intera vita lavorativa. Non è una minaccia, ma un’amara constatazione: perché ormai da sei anni è stata bloccata l’indennità di vacanza contrattuale. La cui applicazione, prevista per legge, sarebbe servita almeno a tenere testa all’inflazione. Che, infatti, nel frattempo ha sovrastato le buste paga dei dipendenti “statali” di 4 punti percentuali: dall’ultimo rapporto semestrale ARAN, l’Agenzia per la Rappresentanza negoziale delle PA, emerge che la percentuale di inflazione dal 2008 ad oggi è stata pari al 13,6%, mentre gli aumenti contributivi dei dipendenti pubblici si sono fermati al 9,5%”.
“Se, come purtroppo è inevitabile che sia, spariranno anche gli aumenti automatici – i cosiddetti “scaglioni” stipendiali, la cui progressione varia tra i tre e i cinque anni di attesa – il più grande comparto della Pubblica Amministrazione è destinato a un trattamento stipendiale che non ha precedenti, tranne la Grecia, nei Paesi moderni e più avanzati. Con quello della scuola, notoriamente maglia nera della PA, che continua a mantenere le buste paga al di sotto dei 30mila euro lordi annui. E che ora, se si dovesse seguire la proposta del Governo, contenuta nella Legge di Stabilità 2016, dovrebbero ritrovare vigore attraverso la miseria di cinque euro di aumento a lavoratore”, conclude Pacifico.
Eppure, l’articolo 2, comma 35, della legge n. 203/2008, dalla legge finanziaria 2009 e anche le disposizioni previste dal Decreto Legislativo 150/2009, dicevano tutt’altro. La stessa Corte Costituzionale, nel 2015 ha reputato illegittimo il blocco dei contratti e degli stipendi dell’amministrazione pubblica. E che dire dell’articolo 36 della Costituzione, che sull’adeguata retribuzione in rapporto al lavoro profuso non prevede certo deroghe?
Come se tutto questo non bastasse, nel mirino del Governo c’è anche la pensione: non solo è diventata un miraggio – dal 5% che lasciarono nel 2007, pari a 35mila lavoratori, si è passati all’attuale 2% di pensionamenti, con appena 16mila tra docenti e Ata –, ma con il tempo l’assegno di quiescenza si è sempre più assottigliato: l’ufficio studi dell’Anief ha stimato che gli 86mila docenti assunti nel 2015, a seguito del piano straordinario di immissioni in ruolo introdotto con la Buona Scuola, rispetto a chi lascia il servizio oggi andranno a percepire un assegno mensile decurtato tra il 38% ed il 45%. Così, un docente che oggi percepiva una pensione di 1.500 euro, molto realisticamente lascerà il servizio a ridosso dei 70 anni per andare a percepire una pensione che varierà tra i 930 e gli 825 euro.