L’Italia continua a non rispettare la direttiva comunitaria 1999/70/CE sull’abuso del precariato. E i tribunali del lavoro non possono esimersi dal condannare l’amministrazione e risarcire i docenti vittime delle mancate stabilizzazioni. Come il tribunale di Roma, che, accogliendo un ricorso dell’Anief, ha accordato ad otto insegnanti non di ruolo un equo risarcimento del danno subìto, pari a 100mila euro complessivi, a seguito di successione di contratti a tempo determinato stipulati senza tenere conto dalla normativa europea sulla materia.
Si tratta di docenti precari di lungo corso, alcuni in servizio da oltre dieci anni, che a seguito delle tante sentenze favorevoli accordate dai tribunali su casi analoghi e in virtù, soprattutto, della storica presa di posizione della curia europea nel novembre del 2014 valida per tutta la P.A., hanno compreso come l’azione dell’amministrazione scolastica nei loro confronti sia stata quella di discriminare e sfruttare il loro operato attraverso una serie infinita di contratti di lavoro a tempo determinato. Ora, hanno finalmente ottenuto giustizia, grazie alla caparbia dei legali dell’Anief, che hanno imposto nuovamente al Ministero dell’Istruzione il pieno rispetto della professionalità dei lavoratori precari della scuola e l’osservanza delle direttive sovranazionali.
Tra l’altro, la condanna dell’amministrazione, per violazione del diritto comunitario e illecita reiterazione di contratti a termine, ben oltre il limite dei 36 mesi, è tutt’altro che simbolica: il giudice ha quantificato un risarcimento complessivo per otto ricorrenti pari a 37 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita da ognuno di loro, cui aggiungono gli interessi previsti dalla legge.
Nella sentenza, si legge che è stato rilevato che “la reiterazione di contratti per un periodo complessivo ampiamente superiore ai trentasei mesi, pur se conforme al diritto nazionale, porta a ritenere violati i principi comunitari, per cui l’apposizione del termine ai suddetti contratti deve ritenersi illegittima” e specifica come “sotto questo profilo è irrilevante la causale che ha determinato la stipula del contratto, in quanto ciò che determina la violazione delle disposizioni comunitarie, determinando l’illegittimità dei contratti, è data dalla reiterazione degli stessi oltre il termine di trentasei mesi che costituisce l’elemento individuato dall’ordinamento italiano al fine di evitare che il ricorso ai contratti a termine integri un abuso dello strumento contrattuale”.
Il giudice, inoltre, nel ribadire il precetto secondo cui “il diritto al computo dell’anzianità di servizio anche per il periodo di vigenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato può ritenersi un principio desumibile dalla normativa comunitaria”, ha riconosciuto anche “il diritto della parte ricorrente a vedersi riconosciuta, ai fini connessi alla anzianità di servizio, l’attività lavorativa prestata con contratti a tempo determinato”, condannando il Miur a corrispondere ad ogni ricorrente quanto dovuto riguardo agli scatti di anzianità in base agli effettivi anni di lavoro prestato durante il periodo di precariato “oltre interessi legali a decorrere dalla pubblicazione della sentenza fino al saldo”. A questo, si aggiunge la condanna al pagamento delle spese di giudizio a carico del Miur soccombente, commisurata in un totale di 7.619 euro oltre accessori.
“Questa ulteriore sentenza – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è la conferma dell’inadeguatezza della Legge 107/2015, la cosiddetta Buona Scuola, sul fronte del reclutamento del personale precario: perché pur prevedendo 100mila nuove immissioni in ruolo, poi ridotte a circa 86mila, è riuscito a non stabilizzare tanti docenti precari la cui unica colpa è stata quella di essersi abilitati dopo il 2011, riuscendo anche a discriminare una parte dei candidati risultati idonei ai concorsi pubblici. Calpestando, in questo modo la indicazioni della Corte di Giustizia europea, oltre che i pareri della Consulta italiana e del Tribunale di Napoli, che affermano l’applicazione del decreto legislativo n. 368/2001 pure alle pubbliche amministrazioni scolastiche”.