È notizia di queste ore che i prezzi in deflazione non bastano a ridare slancio ai consumi, ma di sicuro rendono le retribuzioni ancora più modeste: l’Istat, infatti, ci ha detto che le vendite al dettaglio nel primo trimestre rispetto al precedente sono a crescita zero, “grazie” alla mini-crescita tendenziale dello 0,7%, che ha segnato un nuovo minimo storico dopo lo 0,8% toccato a gennaio. Un’altra grave conseguenza della deflazione è il punto più basso delle retribuzioni mai registrato in 34 anni di serie storiche, dal 1982. Per tanti dipendenti, pesa come un macigno la mancanza di un contratto adeguato, perché scaduto da tempo. Sempre l’Istituto nazionale di Statistica ha ricordato che degli oltre 8 milioni di lavoratori in attesa del rinnovo, quasi 3 milioni lavorano nel pubblico impiego, dove da quasi sette anni vige il blocco della contrattazione.
Per il sindacato, lo stallo delle buste paga sta diventando sempre più intollerabile, anche perché è passato quasi un anno dalla sentenza con cui la Consulta, nell’estate del 2015, ha dichiarato illegittimo il blocco stipendiale. Il problema è che non solo la contrattazione per il rinnovo non ha ancora visto la luce, anche perché il Governo ha messo sul piatto della proposta un rinnovo-elemosina pari a 155 milioni di euro da spalmare su tre anni e tre milioni di dipendenti, che porteranno un pezzo di trancio di pizza in più al mese.
A rendere ancora più cupa la vicenda dell’adeguamento degli stipendi sono anche le stime ufficiali del Mef: il dicastero di Viale XX Settembre, infatti, ha dichiarato, attraverso il Documento di Economia e Finanza 2016 che dopo una moderata crescita delle retribuzioni per l’anno in corso (1,4 per cento), dobbiamo aspettarci una riduzione delle medesime per gli anni 2017 e 2018 (rispettivamente -0,8 e -0,2 per cento), per poi stabilizzarsi nel 2019, è altrettanto vero che si cita a parte l’indennità di vacanza contrattuale spiegando che il suo destino sarà ancora una volta da valutare. Tra le righe, il Mef annuncia che rimarrà “congelata” almeno sino al 2018 e forse anche fino al 2021.
“Ma l’indennità di vacanza contrattuale è l’unico finanziamento idoneo a risarcire il lavoratore nelle more dello stanziamento delle risorse economiche – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – e tale indennità deve essere corrisposta come una sorta di anticipo dei futuri adeguamenti di stipendio, nella misura del 50% dell’inflazione ufficiale. Ma tale principio è valso solo per il privato, dove gli aumenti stipendiali sono stati del 20% medio”.
“A questo punto – continua Pacifico -, se il Governo non ha intenzione di sbloccare questa indicizzazione, se le cose restano così come sono oggi per altri cinque anni, con gli stipendi destinati a rimanere fermi quindi oltre dieci anni consecutivi, noi diciamo no: i conti dello Stato non possono in nessun caso prevaricare il diritto dei lavoratori esercitati attraverso la contrattazione sindacale finalizzata al rinnovo di contratto e questo vale anche riguardo il diritto all’adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale al costo della vita. Per questo abbiamo predisposto dei ricorsi, per il recupero di somme che vanno da un minimo di 180 euro lordi all’anno a un massimo di 1.800, calcolati su una busta paga media di 1.500 euro mensili a lavoratore”.