Sta creando interrogativi e più di qualche turbamento la nuova modalità di combattere la “falsa attestazione della presenza in servizio”, introdotta con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 116/2016 recante norme in materia di licenziamento disciplinare nella pubblica amministrazione, meglio noto come decreto contro i “furbetti del cartellino”, in vigore dal prossimo 13 luglio. Il decreto prevede, in particolare, l’adozione di un nuovo procedimento disciplinare, una sorta di procedimento “accelerato” giustificato solamente dal fatto di cogliere il soggetto in flagranza di reato e/o dell’esistenza di riprese video.
Molti si chiedono come si concretizzano queste novità nella scuola, dove operano quasi un milione di insegnanti. La risposta è semplice: fermo restando che è giusto colpire chi si assenta in modo ingiustificato dal lavoro, va ricordato che la categoria degli insegnanti è iper-controllata, per motivi legati alla natura del lavoro, e che non sono applicabili nei suoi confronti le modalità di sorveglianza previste per gli altri dipendenti pubblici. Ancora oggi, per chi insegna rimane attuabile quanto previsto dalla Corte di Cassazione Sez. V il 20 novembre 1996, che ha rilevato come per i docenti l’unico sistema di rilevazione e di controllo della presenza in servizio “è attestato unicamente dalla firma sul registro di classe”.
“Per i docenti – scrive stamane Orizzonte Scuola – non esiste alcuna norma specifica che possa legittimare l’utilizzo di strumenti di rilevazione delle presenze diversi da quello del canonico registro di classe. Lo stesso dicasi per l’impiego di telecamere”. Anche per il Garante della privacy “l’unica ipotesi di videosorveglianza scolastica ritenuta lecita e legittima riguarda la finalità di tutela dell’edificio scolastico e dei beni scolastici da atti vandalici”. Pertanto, “niente badge, niente cartellini, niente timbrature, niente videosorveglianza. Ciò limita in modo pesante l’applicazione reale del decreto ‘antifurbetti’ sicuramente nei confronti del personale docente, anche perché è difficile nella scuola non accorgersi dell’assenza di un docente…”.
Secondo le ultime stime della Funzione Pubblica, riguardanti l’anno 2014, dei circa 7mila procedimenti avviati nei confronti dei dipendenti della pubblica amministrazione, quelli che conclusi con sanzioni gravi sono risultati meno di 2mila, mentre per la grande maggioranza ci si è fermati alla “sospensione” dal servizio. Di licenziamenti nella scuola se ne sono contati qualche decina: considerando che stiamo parlando della “azienda” più grande d’Italia, dove opera un terzo di tutto il personale pubblico, è proprio il caso di dire che le “streghe” possono essere cacciate altrove.
“Chi conosce la scuola – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – sa bene che, fermo restando l’indifendibilità dei casi di falsa presenza del personale saliti alla ribalta nazionale, quello dell’assenza ingiustificata dal servizio è un fenomeno fortemente marginale. Gli insegnanti, infatti, sono controllatissimi, per ovvi motivi legati alla loro presenza associata agli alunni. Anche le statistiche indicano che il numero di sanzioni attuate verso i docenti è davvero limitato. Ora, vediamo cosa accadrà con questa novità legislativa introdotta con il decreto Madia approvato in questi giorni: di sicuro, sorveglieremo l’evolversi della situazione, per scongiurare un’eventuale compressione dei diritti di chi lavora a scuola già alle prese con responsabilità enormi ed una burocrazia crescente”.
A questo proposito, si ricorda che nella versione approvata in prima lettura dal Governo, era prevista la possibilità che il Responsabile della struttura trasmettesse gli atti all’Ufficio procedimenti disciplinari, che in seconda battuta avrebbe provveduto ad avviare il vero e proprio procedimento disciplinare. Tuttavia, nella versione definitiva, pubblicata in G.U., è lo stesso Responsabile della struttura che contesta l’addebito entro 48 ore, sospende il dipendente e trasmette all’UPD gli atti di un procedimento già avviato. Secondo la stampa specializzata, si tratta di una modifica che poteva essere evitata, perché la struttura pubblica periferica, a contatto con l’utenza, spesso “non ha competenze giuridiche, soprattutto in materia di corretta contestazione dei fatti, corretta indicazione della norma violata, corretta notificazione dell’atto e, comunque, potrebbe non avere il personale amministrativo idoneo”.
“Rimaniamo convinti che per i docenti, come per il personale Ata – commenta ancora Pacifico – l’ultima parola sulle sanzioni gravi dovrebbe essere sempre e comunque conferita agli uffici scolastici regionali: pensare di affidare al dirigente scolastico pure l’incombenza di licenziare i dipendenti, come abbiamo letto in questi giorni da alcuni organi di stampa, rappresenterebbe un’operazione pericolosa e incostituzionale”.