La spending review fa un passo avanti

La spending review fa un altro passo in avanti. Anzi due. Dal 27 luglio partono i prezzi benchmark per 34 convenzioni Consip a cui la pubblica amministrazione si dovrà attenere per l’acquisto di beni e servizi. E tra poco più di due settimane, cioè dal prossimo 9 agosto, anche gli enti locali, seguendo l’esempio della p.a. centrale nella sanità, avranno l’obbligo di ricorrere ai soggetti aggregatori per l’acquisto di specifici servizi: guardiania, vigilanza armata, pulizia, manutenzione immobili, manutenzione impianti e facility management. Una doppia mossa che porta avanti il lavoro iniziato con il decreto Irpef del 2014 per la copertura degli 80 euro in busta paga e proseguito fino alla legge di stabilità 2016. L’ultima manovra disponeva infatti proprio la definizione in un apposito decreto del Mef, pubblicato il 26 luglio in Gazzetta Ufficiale, delle prestazioni oggetto delle convenzioni centralizzate Consip e stimava nella relazione tecnica un risparmio potenziale di 200 milioni di euro. Una previsione che oggi viene giudicata dal capo di gabinetto del Ministero, Roberto Garofoli, "cauta" e ricalcolabile in oltre 1 miliardo di euro. La possibilità per le pubbliche amministrazioni di procedere ad acquisti autonomi, spesso giustificata con una presunta diversità tra i beni e servizi in convenzione e quelli che si vogliono acquistare, verrà infatti ulteriormente limitata per merci come autovetture per usi di pubblica sicurezza, energia elettrica, fotocopiatrici, pc portatili e tablet, ecotomografi, aghi e le famose siringhe. "Malgrado si dica che la spending review è morta e che non porta benefici, i numeri dimostrano che i benefici e i risparmi invece ci sono", ha sottolineato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, insistendo sull’importanza della revisione della spesa in un contesto economico, post Brexit, che sta rapidamente virando. "Quando a livello globale ci sono eventi come la Brexit – ha ammesso il ministro – il quadro macroeconomico è difficile, è inutile negarlo, e vale anche per la finanza pubblica". Le "difficoltà", come le chiama Padoan, emergono anche dalla congiuntura flash dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’ennesima istituzione che ha rivisto le stime di crescita dell’economia italiana al ribasso, portandole sotto l’1% quest’anno. La crescita 2016 dell’1,2%, ipotizzata nel Def, appare, a giudizio dei tecnici, "non raggiungibile" e "una ripresa meno dinamica, rispetto alla precedenti stime, caratterizzerebbe anche il 2017". Una grana non da poco per il governo, che – dopo aver strappato all’Ue ampi spazi di flessibilità sul deficit – potrebbe ora ritrovarsi a fare i calcoli con un quadro peggiorato che potrebbe pesare sugli obiettivi sia di indebitamento che di debito.