"Se si vuole con sistematicità accanirsi contro i colleghi ‘a prescindere’, perché si tende al modello del Poliziotto muto, completamente senza diritti e schiavo a tutti gli effetti, e ciò nascondendosi sempre dietro alla scusa della difesa dell’onore e del decoro del Corpo, allora bisognerebbe almeno fingere di difendere quell’onore e quel decoro anche dagli atteggiamenti altrui che davvero li ledono pesantemente. In Italia viviamo invece un’inarrestabile involuzione del cammino di democratizzazione che in tempi gloriosi ci ha portati alla smilitarizzazione del Corpo ed alla nascita del Sindacato, e con ciò al riconoscimento di strumenti di garanzia della realizzazione dei nostri diritti fondamentali citati in Costituzione ‘nonostante’ il fatto che portiamo la divisa. In Italia la libertà di espressione degli Appartenenti alla Polizia di Stato sta subendo, negli ultimi tempi, ogni sorta di menomazione”.
Così Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, in merito alla bufera scatenatasi sulla Poliziotta che ha espresso su facebook dei commenti a proposito di un posteggiatore abusivo con cui aveva avuto uno scontro e nei cui confronti sarebbe stato per questo aperto un procedimento disciplinare che potrebbe concludersi con una punizione anche molto severa.
“In base ad anacronistiche forme di ‘censura’ – aggiunge Maccari – ed in forza di un regolamento di disciplina obsoleto e dai dubbi profili di costituzionalità, applicato meccanicamente ogni qualvolta un poliziotto o una poliziotta esprimono un’opinione sui social network (come fanno continuamente migliaia di esponenti del mondo civile, politico e sociale), si scatenano campagne persecutorie che vedono alleati gli esponenti di un’area politico-ideologica ben precisa e nientemeno che la stessa nostra Amministrazione. I colleghi sono chiamati a dover rispondere di ogni presunta lesione di quel decoro della Polizia di Stato che non viene difeso seriamente nemmeno dalle leggi. Basti pensare al ‘depenalizzato’ oltraggio a pubblico ufficiale, contestazione ormai risibile, ma anche agli altri reati che vengono compiuti ai danni degli Appartenenti alle Forze dell’Ordine che ormai sono considerati come una sorta di medaglia, qualcosa di cui vantarsi, quando non comportamenti che si vogliono addirittura far passare come conseguenza del nostro stesso comportamento in servizio”.
“L’art. 21 della Costituzione – argomenta ancora Maccari – riconosce a tutti il ‘diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione’, indipendentemente che si tratti di pensiero non dominante, non allineato, non quello di ipocriti benpensanti. Questo diritto è fortemente compresso dai nostri ‘doveri generali e particolari’ di Poliziotti, che ci impongono di non avere comportamenti che ledono onore e decoro del Corpo. Ma non può considerarsi per ciò annientato, perché non può considerarsi automaticamente critica lesiva del decoro del Corpo il pensiero personale della donna o dell’uomo che vestono la divisa, e che devono avere pure il loro diritto ad un pensiero libero e liberamente esternabile nella loro dimensione di privati cittadini. Lo Stato dovrebbe difendere i propri servitori quando essi lo rappresentano, non accanirsi contro di loro quando esprimono le proprie opinioni come qualsiasi altro cittadino ha il diritto di fare. Oggi, invece, i lavoratori in divisa per fatti accaduti in servizio si trovano senza tutele giudiziarie e legali, né difesi dalla propria Amministrazione, e basti su tutto pensare al fatto che nei processi in cui siamo vittime è il Coisp a costituirsi parte civile e non il Dipartimento o il Ministero; mentre nel resto del proprio tempo i colleghi sono chiamati a dover rispondere di ogni presunta lesione del decoro della Polizia. La potestà disciplinare è come una tagliola che viene applicata senza una regola ed il moltiplicarsi delle occasioni di espressione del proprio pensiero sui social network invece di rendere gli uomini e le donne delle Forze dell’Ordine più liberi, li sta rendendo muti, prigionieri di quel ruolo che la Costituzione intendeva di primordine: servire lo Stato”.
“La verità – insiste Maccari – è che c’è un bisogno disperato di una Polizia più moderna ed efficiente sotto tutti i punti di vista ed in tutti gli ambiti. Ed i Poliziotti muti e schiavizzati sono l’immagine di un Corpo ormai superato e che dovrebbe essere cancellato. Eppure la democrazia che abbiamo giurato di servire e che difendiamo ce la stiamo vedendo sbiadire sotto gli occhi, senza contare la grave compromissione dello stesso prezioso ‘spirito di Corpo’ di un tempo che si sgretola sotto al peso del sospetto imperante fra i colleghi terrorizzati dall’odioso strumento della delazione come arma di conflitto scorretto, di competizione malata, di vendetta privata, vista la drammatica e deprimente facilità con cui si può far finire un Poliziotto sotto procedimento disciplinare anche senza alcun fondato motivo”.
“Oggi – conclude Maccari – siamo prigionieri della divisa quando siamo in servizio perché dobbiamo sopportare ogni sorta di insulto da parte di chiunque, guai a reagire, anche solo verbalmente, perché si scatenano i rabbiosi tutori dei ‘chiunque altro tranne che delle divise’. Poi siamo prigionieri dell’Amministrazione quando siamo per i fatti nostri, perché allora ci si ricorda dei doveri, del decoro, delle funzioni. Perché non chiedersi invece il motivo delle continue esternazioni sui social di opinioni da tacere in ufficio? Le cose dovrebbero cambiare, il diritto di parola e di pensiero dei Poliziotti andrebbe difeso come quello degli altri italiani, perché fingere di ignorare il grave e radicato malcontento che impera fra i colleghi, non si può più”.