Giornata Mondiale Insegnanti: Italia fanalino di coda per età, stipendi e considerazione sociale

Quest’oggi, in occasione della ricorrenza della Giornata Mondiale degli Insegnanti, istituita dall’Unesco, diventa sempre più visibile il gap che divide un docente italiano da quelli degli altri paesi moderni: da Bruxelles, attraverso Eurostat, proprio in queste ore, giunge la notizia che gli insegnanti italiani sono i più vecchi d’Europa: l’Italia è prima nell’Ue per maestri delle elementari over 50 come anche per docenti della secondaria. Nella primaria italiana oltre un maestro su due ha superato i 50 anni (53%), mentre alle medie e alle superiori si arriva al 58%. La media Ue è, invece, rispettivamente del 32,4% e del 38,1%. Gli altri paesi europei hanno un corpo insegnante decisamente più giovane: alla primaria, i docenti over 50 sono collocati in Bulgaria e Germania (42%) e Lituania (41%); alle medie e alle superiori in Estonia (50%), Lettonia (49%), Bulgaria e Germania (48%). Nessuno supera il 50%, come accade in Italia che rimane distante anni luce da Malta (solo 15% over 50), Gran Bretagna (25%), Lussemburgo (26%) e Polonia (27%).

I numeri anagrafici in forte aumento del rapporto Eurostat possono essere estesi ai paesi Ocse perché, dal recente studio "Education at a glance 2015", è risultato che “alla primaria, l’Italia è il paese dell’Ocse con la quota maggiore di maestre over 50, il 44 per cento nel 2013, il 16 per cento oltre i 60 anni, nessuna sotto i 30. In Francia, la percentuale di giovani maestre al di sotto dei 30 anni è dell’8 per cento e gli ultracinquantenni sono il 23 per cento; alle medie e alle superiori va anche peggio considerato che il 57 per cento ha più di 50 anni, solo il 3% ha meno di 40 anni e il 19% ha 60 anni e più. Le maestre più giovani sono nel Regno Unito, con 29 insegnanti su cento under 30; alle medie, infine, i maestri più giovani sono in Turchia, con 35 prof su cento al di sotto dei 30 anni”.

Purtroppo, nel corso dei prossimi anni, a seguito delle riforme pensionistiche, l’ultima delle quali la devastante Monti-Fornero, l’età media dei nostri insegnanti non potrà che peggiorare: nel 2016, abbiamo assistito a un tonfo dei pensionamenti, con sole 16mila domande (- 40% rispetto al 2015) e il turn over crollato al 2%: confermando, quindi, l’andamento del 2014, quando nella scuola lasciarono il servizio appena 14.522 tra docenti e Ata (la metà di due anni prima). Anche la prossima introduzione dell’Ape, la pensione anticipata per i nati tra il 1952 e il 1954, non servirà a molto, visto che aderiranno in pochissimi per via della decurtazione inammissibile; per non parlare, poi, dell’entità dell’assegno di quiescenza, in considerazione del fatto che per 41 docenti su 100 la pensione non arriva a mille euro netti.

“Il vero problema è che il Governo non ha fatto nulla e continua a non fare nulla per combattere la crescita dell’età media dei docenti – commenta con amarezza Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – decidendo anche inopinatamente di escludere non abilitati e laureati dall’ultimo concorso a cattedra, facendo fuori così in partenza tutti i giovani laureati. Oltre 20mila posti sono stati persi, per via della mancanza di programmazione del Miur, come rilevato da Tuttoscuola: in Italia i docenti continueranno, così, a essere immessi in ruolo attorno ai 40 anni, con diversi casi anche dopo i 50 e in alcuni pure over 60. Anche gli esecutivi precedenti hanno comunque fatto il loro, con 200mila posti tagliati negli ultimi anni, dimenticando e abbandonando 4mila ‘Quota 96’ che nel 2012 avrebbero dovuto lasciare il servizio: diventa, così, una chimera il ringiovanimento dei nostri insegnanti”.

A pesare sulla stima dei nostri docenti vi è poi la scarsa considerazione sociale. Secondo un sondaggio realizzato da ProntoPro.it, presentato proprio a ridosso della Giornata Mondiale degli Insegnanti, risulta che su mille insegnanti il 51% ritiene che la professione sia sottovalutata e non opportunamente apprezzata a livello sociale. Qualche giorno prima, il Miur, nell’ambito del piano per la formazione dei docenti, aveva chiesto ai nostri insegnanti come migliorare la propria professionalità. Le risposte, riassunte da Orizzonte Scuola, indicano la necessità di curare la propria formazione continua (78%), lavorare in gruppo – network professionali (63%), utilizzare in modo adeguato le tecnologie nella didattica (62%), coinvolgere gli studenti nel loro apprendimento (57%), organizzare e animare le situazioni di apprendimento (51%).

“Questo conferma che i docenti italiani sono sempre pronti a migliorare le loro competenze e professionalità – dice ancora il presidente Anief – anche in situazioni lavorative di disagio e sempre più contrassegnate da stipendi da fame. Se è vero, infatti, che nel 2016 gli stipendi dei lavoratori statali, fermi al 2009 nel nostro Paese hanno raggiunto il punto più basso mai registrato in 34 anni di serie storiche, dal 1982, quelli della scuola, in media 30mila euro annui lordi, rimangono i più bassi della PA. In pratica, un docente neo-assunto, senza servizi pregressi, percepisce per 10 anni circa 1.280 euro al mese e, forse, anche per tutta la vita: l’indennità di vacanza contrattuale è stata, infatti, congelata e rimarrà tale almeno sino al 2018, forse anche fino al 2021”.

“Eppure, gli attuali stipendi non sono in grado di coprire neppure il salario minimo per adeguare le buste paga all’inflazione, come certificato nelle scorse settimane dalla Corte dei Conti. Poco importa allo Stato che la Consulta abbia reputato illegittimo il blocco dei contratti e degli stipendi pubblici. Inoltre, per tutti comparti pubblici sono previsti appena 800 milioni di euro, che andranno solo a una parte dei lavoratori: a coloro che guadagnano meno e al 20-30 per cento dei meritevoli individuati dai dirigenti. Si prevede, dunque, un aumento stipendiale modesto e per pochi lavoratori. Intanto, sullo sfondo, si lavora sulla riforma della Pubblica Amministrazione, con il pubblico impiego che rischia pesantemente di vedersi sottrarre gli scatti di anzianità: quelli che per i docenti – conclude Pacifico – sono l’unica forma di carriera”.