Con una recente sentenza *(n. 22776/2016) la Corte di Cassazione ritorna sulla spinosa questione su chi, fra Asl e Comuni/utenti, debba pagare i costi dei ricoveri per i soggetti non autosufficienti, ripercorrendo le tappe normative che hanno portato all’odierna suddivisione in quota sanitaria e quota sociale delle rette Rsa. Il caso è quello relativo a una signora disabile psichica cronica, che ha chiesto il riconoscimento della natura prettamente sanitaria delle prestazioni ricevute durante il lungo ricovero in casa di cura, ossia il “rilievo sanitario” delle cure ricevute (nel caso somministrazione continua di farmaci). Per l’effetto, aveva richiesto alla Asl il pagamento di circa 20.000 euro, corrisposte in proprio per l’inserimento in struttura. In primo e in secondo grado, non solo i Giudici avevano negato la prevalenza della componente sanitaria sulla componente socio-assistenziale respingendo le richieste della signora, ma l’avevano condannata, in via di rivalsa, al pagamento di circa 50.000 euro a titolo di “quota sociale” non pagata.
La Corte di Cassazione, invece, cassando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello, ha chiarito e ribadito che:
1. Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio – assistenziali” (art. 30 L. n. 730/1983); 2. le attività di rilievo sanitario sono quelle che: “richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché diretti immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsecano in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza delle quali l’attività sanitaria non può svolgersi e produrre effetti” (Art. 1 DPCM 8 agosto 1985); vale a dire attività e prestazioni che pur in sé per sé non sanitarie (posto letto, cibo, sorveglianza ecc….), sono strumentali alla cura e terapia anche riabilitativa.
3. invece, non vi rientrano “le attività direttamente ed esclusivamente socio-assistenziali, anche se indirettamente finalizzate alla tutela della salute del cittadino e in particolare ai ricoveri in strutture protette extra ospedaliere meramente sostitutivi, sia pure temporaneamnete, dell’assistenza familiare” (Art. 1 DPCM 8 agosto 1985); Vale a dire, quelle attività e prestazioni che pur in sé per sé non sanitarie (posto letto, cibo, sorveglianza ecc….), che non sono strumentali alla cura e terapia, ma solo all’assistenza in luogo della famiglia.
4. Il DPCM 14.2.2001 distingue le attività socio-sanitarie in “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale”, “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria” e “prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria”; La prima contiene tutte le prestazioni “finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esisti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite”
5. Per quanto attiene ai ricoveri per malattia mentale, i ricoveri possono rientrare nelle attività a totale carico delle Asl purché le relative prestazioni siano dirette, in via esclusiva o prevalente, fra l’altro, “alla cura e al recupero fisio-psichico dei malati mentali, ai sensi dell’art. 64 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, purché le suddette prestazioni siano integrate con quella dei servizi psichiatrici territoriali.”.
A parere della Corte, dunque, i costi per le prestazioni connesse ai “trattamenti farmacologici somministrati con continuità a soggetti con grave psicopatologia cronica ospitati presso strutture che siano dotate di strumentazione e personale specializzato idonei ad effettuare terapie riabilitative”, nonché a contenere la possibile degenerazione della malattia, sono a carico delle sole Asl. Non si potrà, pertanto, parlare di quota sociale e quota sanitaria, ma di copertura esclusivamente sanitaria. A tal fine, a nulla rileva la tipologia od il nome delle case di riposo/ricovero, rilevando esclusivamente la natura e finalità delle prestazioni ivi rese.
* si ringrazia l’Avv. Franco Trebeschi per la segnalazione
Claudia Moretti, legale Aduc