La Confcommercio ci fa sapere che gli acquisti di prodotti illegali sono in crescita nel nostro Paese, soprattutto abbigliamento, audiovisivi, videogiochi e musica. Non solo non ci stupiamo, ma ci meravigliamo che le percentuali di crescita siano così contenute. Quando manca armonia -e in alcuni casi c’è un vero e proprio contrasto- tra domanda e offerta, questi sono i risultati: cresce l’illegalità. E soprattutto, dato più preoccupante in democrazia: cresce l’accettazione e la giustificazione da parte degli attori principali, i consumatori. Mentre dall’altra parte -commercianti e produttori illegali- si è sempre pronti e organizzati a far fronte alla domanda. Lo è, ovunque, per un prodotto super vietato e super richiesto come le droghe, non si capisce perchè non dovrebbe essere altrettanto per un capo d’abbigliamento, per un brano musicale o per un film o videogioco. La domanda che il legislatore e chi ci governa si deve porre -e le conseguenti azioni- sono determinanti per cercare di invertire questa tendenza: dov’è l’errore? Gli elementi sono tanti, ma viste le percentuali in crescita, è evidente che sono tutti poco considerati. Ci sono gli elementi più facili da affrontare: le mancate o finte liberalizzazioni (dove la presenza delle pubbliche amministrazioni in regime di monopolio di fatto o reale, è determinante); le imposte e la burocrazia per produttori, commercianti e consumatori. Più facili perchè si tratterebbe “solo” di mettere in pratica quelle che sono le leggi che già ci sono, o di farne migliori rispetto agli impegni presi in sede comunitaria. Ci sono gli elementi più difficili da affrontare: gli accordi internazionali che favoriscano circolazione delle merci con abbattimento degli alti dazi doganali ancora in vigore (tipo il Ceta tra Ue e Canada o l’attualmente immobile TTIP con gli Usa). E, di conseguenza, il miglioramento e rafforzamento di quelle istituzioni che aiutano in tal senso, come -essenzialmente- l’Unione europea.
Insomma, è questione di volontà politica. Quella politica che fa della legalità e della trasparenza il suo punto base. Poi, ovviamente, ci sono anche coloro che credono che un po’ di illegalità è bene che ci sia, come valvola di sfogo per contesti in cui lo Stato non si può permettere di metterci il naso e le mani più di tanto, che’ altrimenti si scontenterebbero alcune corporazioni e alcune imprese (multinazionali o meno che siano) che -allo stato e come contropartita- consentono di mantenere quelli equilibri di potere che interessano per conservare lo stesso. Ma è proprio qui il problema. Abbiamo bisogno di segnali e di dati. Nel primo caso -segnali- sembra che ce ne siano… ma per l’appunto “sembra”, perche’ -invece- sono smentiti da queste percentuali in crescita sul gradimento dei consumatori per l’illegalita’.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc