La scure non guarirà la sanità italiana

Il progressivo restringimento del welfare legato agli obiettivi di finanza pubblica appare evidente nella dinamica recente della spesa sanitaria. Dal 2009 al 2015 si registra solo una lieve riduzione in termini reali della spesa pubblica. Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria privata, dopo una fase di crescita significativa, si riduce a partire dal 2012, per riprendere ad aumentare negli ultimi due anni (+2,4% dal 2014 al 2015), fino a raggiungere nel 2015 i 34,8 miliardi di euro, cioè poco meno del 24% della spesa sanitaria totale. Aumenta poi la compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente della compartecipazione alla spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%). Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche. Anche l’offerta ospedaliera mostra una progressiva riduzione dei posti letto (3,3 per 1.000 abitanti in Italia nel 2013 secondo i dati Eurostat, contro i 5,2 in media dei 28 Paesi Ue, gli 8,2 della Germania e i 6,3 della Francia).

La salute e i limiti della disintermediazione. L’accesso diretto all’informazione sanitaria, certamente enfatizzato dalle potenzialità praticamente infinite della rete, ha avuto un impatto dirompente anche sulla trasformazione della relazione medico-paziente. Il modello a cui si riferisce la quota maggiore degli italiani (50,9%) è quello della scelta terapeutica condivisa: una relazione basata sul dialogo, nella quale il medico e il paziente collaborano per prendere decisioni riguardanti la salute di quest’ultimo. Anche il paziente utente informato del web ribadisce il ruolo strategico del medico come fonte principale di informazione sanitaria (il 73,3% degli italiani cita il medico di medicina generale), mentre circa un italiano su 5 ammette la funzione strategica di televisione e internet. La quota di chi ritiene che troppe informazioni reperite sul web possano confondere chi non è esperto e che su questioni riguardanti la salute a decidere debbano essere i medici è cresciuta nel tempo, passando dal 46,6% del 2006 al 54,5% del 2014. Nel 2016 quasi la metà degli italiani attribuisce al medico di medicina generale la responsabilità di dare informazioni circostanziate ai pazienti e di guidarli verso le strutture più adatte, a fronte del 12,1% che attribuisce a internet un ruolo strategico nella selezione delle strutture e dei professionisti attraverso la disponibilità di informazioni sicure e certificate sui servizi.

L’Italia non è un Paese per genitori. Che in Italia si facciano pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell’immaginario collettivo. Secondo una indagine del Censis, l’87,7% degli italiani pensa che il nostro Paese sia afflitto dalla scarsa natalità. Per l’83,3% la crisi economica ha avuto un impatto sulla propensione alla natalità rendendo più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe. Il 60,7% è tuttavia convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti (sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze dei figli), la scelta di avere un figlio sarebbe più facile. Pesa però anche la presa di coscienza tardiva circa la presenza di eventuali problemi di infertilità, che allunga inevitabilmente i tempi di accesso alle cure e quindi la loro efficacia. Le coppie che si sottopongono alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita) sperimentano un percorso articolato, con modalità di accesso e opportunità molto differenziate tra le diverse regioni: il 76% delle coppie in trattamento pensa che chi ha problemi di questo genere in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri Paesi europei, il 79,5% pensa che non in tutte le regioni sia assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti, così come la gratuità dell’accesso alle cure (74,3%).

Disegualmente poveri: la geografia dei nuovi disagi. Il mercato del lavoro oggi genera sempre meno opportunità occupazionali lasciando senza redditi da lavoro quote crescenti di famiglie. Tuttavia, la povertà economica è solo uno degli aspetti del disagio sociale. La deprivazione coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà. Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010. Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in severa deprivazione abitativa sono 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici all’abitazione. Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775.000 sono in gravi condizioni di deprivazione. Le famiglie in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all’8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 sono oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa hanno creato un gorgo che può attirare in sé anche chi tradizionalmente è rimasto lontano dal disagio: questo genera una incertezza diffusa e spinge a pensare che solo pochi sono fuori dal rischio di cadere in condizioni di disagio.

I popoli delle pensioni. I nuovi pensionati sono più anziani rispetto al passato e hanno anche redditi pensionistici mediamente migliori, come effetto di carriere contributive più lunghe e continuative nel tempo, e occupazioni in settori e con inquadramenti professionali migliori. Tra il 2004 e il 2013 l’incidenza dei nuovi pensionati di vecchiaia che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9% al 37,5%, quella di chi ha versato contributi per un periodo compreso tra i 36 e i 40 anni dal 37,6% al 33,7%, mentre per chi ha percorsi contributivi superiori ai 40 anni l’incidenza si quadruplica, passando dal 7,6% al 28,8%. In generale, si registra un miglioramento della condizione socio-economica dei pensionati: negli anni 2008-2014 il reddito medio del totale delle pensioni è passato da 14.721 a 17.040 euro (+5,3%). Per 3,3 milioni di famiglie con pensionati le prestazioni pensionistiche sono l’unico reddito familiare e per 7,8 milioni i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito familiare disponibile. Così, si stimano in 1,7 milioni i pensionati che hanno ricevuto un aiuto economico da parenti e amici. Ma i pensionati non possono essere considerati solo come recettori passivi di risorse e servizi di welfare, perché sono anche protagonisti di una redistribuzione orizzontale di risorse economiche: sono 4,1 milioni quelli che hanno prestato ad altri un aiuto economico.