Un esercito di quasi 40 mila camici rosa: sono questi i numeri dell’altra metà del cielo che lavora in corsia. Ma nonostante le donne medico stiano superando i loro colleghi uomini, questo sorpasso riguarda solo i numeri. Se sei donna, medico e con figli il percorso a ostacoli nella professione è assicurato. Se poi sei giovane le difficoltà aumentano fino al mobbing nel 60% dei casi. Aver scelto questa professione ha comportato per molte il divorzio, la scelta di rimanere single e comunque ha creato pesanti conflitti familiari (66%).
Questo l’identikit delle donne medico oggi, emerso dai dati della survey elaborati dal settore Giovani dell’Anaao Assomed alla vigilia della II Conferenza Nazionale delle Donne Anaao Assomed che si svolgerà a Napoli mercoledì 14 dicembre.
Dalle risposte degli oltre 1000 professionisti sono emersi dati preoccupanti.
Il problema del calo della fertilità, affrontato male da una discutibile campagna ministeriale, è ben evidente tra i medici che, a causa dei carichi di lavoro, hanno meno figli di quanti ne desidererebbero o rinunciano del tutto a formare una famiglia. Tra chi ha figli, le difficoltà di gestione quotidiana sono evidenti: gli asili pubblici sono inadeguati per il lavoro articolato su tre turni, i nonni diventano risorse fondamentali, la figura paterna aiuta, ma potrebbe fare di più.
Ma se il lavoro ha importanti ripercussioni sulle scelte di vita, l’avere figli influisce a sua volta sulla carriera, perché compromette l’accesso ai ruoli apicali, l’opportunità di aggiornarsi e, per i precari, la possibilità di ottenere il rinnovo contrattuale.
L’essere donne, giovani e con figli sembra poi una miscela pericolosa: sono queste infatti le figure maggiormente oggetto di mobbing, avances, più penalizzate nei concorsi e nell’avanzamento di carriera. Il precariato, dilagante in questi anni, contribuisce pesantemente alla posizione di debolezza e ricattabilità delle giovani dottoresse. Il quadro peggiora ulteriormente se si considerano le donne impiegate nelle specialità chirurgiche, ove lo storico atteggiamento discriminatorio nei confronti del genere femminile non sembra ancora superato. Neppure il part-time sembra essere una soluzione percorribile per conciliare i tempi vita-lavoro: dall’indagine infatti è emerso che l’88,6% dei medici pur avendone necessità non ne ha fatto richiesta per paura di ripercussioni sulla carriera. Disaggregando i dati per fascia di età emerge che i soggetti nella fascia 41-50 anni hanno maggiore necessità di un impiego a tempo ridotto rispetto alla fascia 30-40 anni poichè all’aumentare dell’età, aumenta il carico familiare non solo legato ai figli, ma anche ai genitori.
Alla blacklist dei problemi e delle inefficienze l’indagine contrappone la forte richiesta di politiche a tutela della famiglia, prima ancora che della donna. Fare figli, accudirli ed educarli, non è responsabilità esclusiva del genere femminile, ma di tutta la società, se vuole crescere e progredire.
Ampliare l’accesso al part-time, sostituire le assenze per maternità, creare degli asili nido aziendali sono alcune tra le proposte concrete e fattibili che andrebbero recepite con urgenza. E’ giunto il momento che la sanità abbandoni un modello unicamente maschile e si avvii velocemente verso la declinazione di ritmi e organizzazione del lavoro che tenga conto della presenza delle donne.
E il sindacato da questa indagine deve trarre utili elementi per ripensare se stesso, in termini di servizi offerti e di obiettivi organizzativi su cui impegnare energie e risorse per creare migliori condizioni lavorative per i medici del SSN, uomini o donne che siano.