Appena letta l’intervista del presidente dell’ABI al Mattino di Napoli, nella quale lancia una proposta, che definisce a titolo personale, sul fatto di rendere noti i primi 100 creditori insolventi delle banche salvate dallo Stato non ci volevo credere. Le parole precise sono le seguenti:
“Io chiedo – dice Antonio Patuelli – a titolo personale che vengano resi noti i primi 100 debitori insolventi delle banche che sono state salvate. E per farlo, penso al varo di una norma di legge sia per le banche risolute sia per quelle preventivamente salvate dallo Stato. Bisognerebbe cioè fare un’eccezione alle attuali regole della privacy proprio alla luce del fatto che si tratta di banche nelle quali sul piano della risoluzione o del salvataggio preventivo è intervenuto lo Stato o le altre banche e i risparmiatori”.
Come è possibile che il presidente delle banche italiane faccia una proposta così strampalata? E’ noto, infatti, che già dal 2011 le persone giuridiche non hanno tutela alla privacy. E’ più che ragionevole ritenere che fra i primi 100 creditori di una grande banca non vi sia nessuna persona fisica. In buona sostanza Patuelli ha preso un granchio sul piano giuridico e questa la dice lunga sulla qualità delle nostre classi dirigenti, in sento lato.
Venendo nel merito della proposta, se si esaurisce nel pubblicare i 100 nomi e nel fare una piccola gogna pubblica, la cosa non servirà a niente.
E’ ovvio che maggiori informazioni sono disponibili al controllo diffuso, e meglio è. Quindi va benissimo pubblicare i nomi delle 100 persone giuridiche che non hanno restituito i prestiti ricevuti, ma questo non servirà a fare chiarezza sulle ragioni per le quali il Monte dei Paschi di Siena ha un così elevato numero di sofferenze rispetto alla media del sistema bancario.
Fa specie che sia proprio il presidente delle banche italiane a lanciare una proposta del genere, come se la responsabilità di prestare soldi ad aziende che non sono state in grado di restituirle sia degli imprenditori (spesso sarebbe meglio definire “prenditori”) che hanno chiesto questi soldi e non delle banche che non hanno saputo valutare le richieste. Vogliamo far finta che molti di quei crediti concessi facilmente non siano frutto di un sistema di relazioni che vedono i banchieri perfettamente consapevoli e coinvolti? Vogliamo raccontare la favola dei banchieri ingannati?
Se vogliamo essere credibili dobbiamo riconoscere che la causa principale dell’esplosione delle sofferenze bancarie, a livello d’intero sistema bancario, risiede nella lunghissima crisi economica. Questo non toglie però che, specialmente in alcune banche, una parte rilevante dei prestiti veniva (ed in parte viene ancora oggi) concessa per questioni di relazioni ed intrecci di varia natura fra imprenditori e banchieri. La causa principale di questa seconda parte del problema risiede nel fatto che il nostro sistema di regole (scritte, ma soprattutto quelle non scritte, frutto dello stratificarsi dell’evoluzione del sistema-paese), a partire dal sistema giudiziario, assicura una sorta di “impunità di fatto” a coloro che attuano questi comportamenti. Nella grande maggioranza dei casi il loro interesse personale non coincide -e spesso diverge- da quello delle banche che guidano. Per usare un’espressione cara a Nicolas Taleb, non hanno “la pelle nel gioco” (skin in the game), ovvero coloro che prendono le decisioni più importanti nelle banche hanno i loro principali interessi (anche quelli economici) disgiunti dal successo di medio/lungo termine dell’azienda nella quale lavorano e che talvolta guidano.
Spesso questi banchieri rispondono a persone che le hanno piazzate in quei posti . Sanno che quando smetteranno di guidare quella banca avranno bisogno di sfruttare la riconoscenza di qualcuno per piazzarsi da qualche altra parte. Non di rado ci sono semplicemente questioni di pura e semplice corruzione. Insomma, il solito carosello del peggio che l’essere umano riesce a mettere in campo quando ha la ragionevole aspettativa che, molto difficilmente, pagherà un prezzo per i danni che produce.
Se vogliamo ridurre i casi di prestiti concessi a persone che non se lo meritano, la prima cosa è modificare i criteri di selezione dei manager delle banche e –soprattutto– impostare criteri di retribuzione che guardino ai risultati di medio e lungo termine, facendo in modo che nel caso in cui la banca incontra momenti di grave difficoltà, i primi a pagare, anche e soprattutto economicamente, siano coloro che quelle banche le guidavano.
Alessandro Pedone, responsabile Aduc Tutela del Risparmio