Reclutamento docenti, dal 2020 si cambia

Cambia il percorso formativo e selettivo per diventare insegnante nella scuola pubblica, ma solo “a decorrere dall’anno
scolastico 2020/2021”. Lo prevede la bozza di decreto, approvata sabato scorso dal Consiglio del Ministri, sul riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria: per altri tre anni, “si applica la disciplina transitoria”, quindi per assegnare la metà dei posti vacanti e disponibili continueranno ad essere utilizzate le GaE e potrà “essere indetto un corso di Tirocinio Formativo Attivo per le classi di concorso e tipologie di posto per le quali sono esaurite le graduatorie ad esaurimento provinciali” (art. 17, comma 2).

È sempre più evidente, quindi, che in attesa del nuovo concorso a cattedra è indispensabile collocare tutti gli abilitati e abilitandi all’insegnamento (attraverso l’annunciato Tfa) vengano collocati nelle GaE. Inoltre, questo deve avvenire subito, già in primavera, per per evitare i disastri che deriverebbero da un disallineamento temporale rispetto alle graduatorie d’Istituto.

“Il sistema scolastico, con un posto su dieci affidato a supplenti annuali – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – non può bloccarsi perché gli aspiranti all’immissione in ruolo, selezionati e formati nelle università per farlo, continuano ad essere assurdamente messi da parte. Quasi fossero dei docenti di serie B. Il Governo ha l’occasione per farlo, per collocarli finalmente nelle GaE, proprio attraverso la modifica del decreto delegato ora allo studio delle Commissioni Parlamentari e da approvare in via definitiva entro due mesi”.

Ma il testo della legge delega sull’accesso nei ruoli di docente va modificato anche in altre parti. In base all’articolo 10 (comma 3), apprendiamo che “il contrattista su posto comune, sulla base di incarichi del dirigente scolastico della scuola interessata e fermi restando gli altri impegni formativi, può effettuare supplenze nell’ambito scolastico di appartenenza, e, nel terzo anno, su posti vacanti e disponibili”. Il docente in formazione, pertanto, sarà utilizzato anche per svolgere attività di docenza, soprattutto su posti che risulteranno provvisoriamente liberi.

“Ora, ammesso che sia giusto che ai tirocinanti possa essere affidata una parte residua delle supplenze – continua a commentare Pacifico – va rilevato però che il loro compenso non può essere ridotto. Un tirocinante giunto al terzo anno di formazione, dopo aver acquisito la laurea, poi l’abilitazione, vinto il concorso e formatosi ulteriormente sul campo per un ulteriore biennio, è praticamente un insegnante a tutti gli effetti. Tanto è vero che gli vengono affidati gli alunni per svolgere supplenze. Con le stesse responsabilità dei docenti di ruolo. Quindi, è giusto – conclude Pacifico – dargli lo stesso stipendio e non sottopagarli”.

TUTTE LE INDICAZIONI ANIEF SUGLI 8 DECRETI DELEGATI APPROVATI DAL CDM IL 14 GENNAIO 2017.

Sulla riforma del sostegno, il giovane sindacato ritiene che qualsiasi cambiamento non deve andare a scollare la figura del docente di sostegno dagli organici della scuola (rifiutando logiche di “medicalizzazione” della professione), facendo venire meno anche il progetto di portare a 10 anni l’obbligo di permanenza sul sostegno dopo l’immissione in ruolo. Per l’immediato, occorre poi assolutamente provvedere alla trasformazione di circa 40mila posti dall’attuale organico di fatto a quello di diritto, visto che i posti in deroga hanno una valenza annale e non possono, come intende fare l’amministrazione, procrastinarli a tempo indeterminato in quello status.

Per quanto riguarda le scuole all’estero, è fondamentale che si valorizzi al massimo l’operato del personale che opera in strutture collocate in territorio non italiano. Visto che ancora oggi il 50 per cento dei docenti è precario e nei loro confronti l’indennità aggiuntiva, assegnata al personale di ruolo‎, è inspiegabilmente ridotta della metà. Vengono poi spezzoni per anni assegnati su posti vacanti e di queste situazioni non sono state considerate nella riforma “La Buona Scuola”. Mettendo così a rischio il servizio scolastico offerto a 31mila studenti frequentanti quelle scuole.

Sulla riforma della formazione fino a 6 anni, invece, il decreto delegato dovrebbe contenere delle misure che prevedono l’aggiunta del segmento 0-3 anni all’attuale impianto 3-6 anni, nell’ottica di una continuità verticale che vedrebbe finalmente integrato il sistema fino all’inizio della primaria. Tra le novità, servirebbe però anche la fondamentale introduzione dell’anno “ponte”, con la presenza contemporanea di maestri della scuola dell’infanzia e primaria: a 5 anni di età, infatti, i bambini necessitano di un’attenzione pedagogica maggiore. Con il percorso scolastico che potrebbe anche esaurirsi a 18 anni, come avviene in molti altri Paesi.

L’introduzione della copresenza porterebbe l’incremento di almeno 30mila docenti, cui si aggiungerebbero quelli considerati dalla riforma, pari ad almeno altri 25mila nuovi insegnanti di settore (necessari per incrementare fino al 33 per cento la diffusione degli asili nido, soprattutto al Sud). In tal modo, le nuove immissioni in ruolo permetterebbero finalmente la stabilizzazione dei docenti dell’infanzia delle Graduatorie ad Esaurimento, incredibilmente dimenticati dalla Legge 107/15. E con loro anche dei precari abilitati non inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, che hanno svolto oltre 36 mesi di servizio. Oltre che tutti i vincitori dei passati concorsi e di quello del 2016.

L’ultimo decreto, relativo al riordino dell’istruzione professionale, è chiaro che, dopo la sentenza n. 284/2016 della Corte Costituzionale, non si può non tenere conto della centralità delle Regioni su questo versante. In particolare, come ha detto la Consulta, sulla “previsione degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia, diversificati in base alla tipologia, all’età dei bambini e agli orari di servizio, prevedendo tempi di compresenza del personale dei servizi educativi per l’infanzia e dei docenti di scuola dell’infanzia, nonché il coordinamento pedagogico territoriale e il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, adottate con il regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 16 novembre 2012, n. 254”.

Allo stesso modo, sempre in tema di riforma dell’istruzione professionale, bisogna tenere conto di due norme basilari: lo statuto dei lavoratori, il D.M. 300 del 1977, il quale nonostante alcune modifiche recentemente apportate, prevede ancora, all’articolo 10, che il lavoratore è un soggetto avente titolo a completare un percorso di studi. Allo stesso modo, lo statuto degli studenti e delle studentesse del 1998 accorda il diritto degli studenti alla partecipazione alle attività extracurricolari organizzate dalla scuola. Purtroppo, sinora di tali indicazioni non risulta traccia nelle bozze attuative predisposte.

A proposito, della delega su valutazione e certificazione delle competenze ed Esami di Stato, il sindacato ritiene continuare a mantenere un assetto tradizionale con una parte maggioritaria esterna alla scuola di appartenenza degli alunni. Vanno scongiurate, a tal proposito, quelle derive che vorrebbero trasformare gli Esami di Stato in un pro-forma. Altrettanto fondamentale ed imprescindibile è il mantenimento del valore legale del titolo di studio.

Sulla cultura umanistica, Anief ritiene che vanno introdotte nella scuola secondaria di secondo grado due ore obbligatorie di Filosofia sia di Storia. Per quel che concerne, invece, il diritto allo studio, è basilare un incremento sostanzioso delle borse di studio, ad iniziare dagli studenti appartenenti a nuclei familiari non abbienti. Inoltre, vanno incrementati gli organici laddove sono più alti i tassi di dispersione scolastica, di disoccupazione e di collegamento con il mondo del lavoro. Ricordiamo, a questo proposito, che l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria, a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri Paesi dell’area Ocse. Con le tasse universitarie che continuano costantemente ad aumentare.

Su formazione iniziale e accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, è utile gestire al meglio la fase transitoria che ci si appresta a vivere, al fine di tutelare i docenti precari. In particolare, il perdurante disallineamento tra domanda e offerta dovuto al blocco dell’aggiornamento delle GaE, il mancato inserimento di personale abilitato, la contrazione degli organici e la falsa individuazione dell’organico di diritto, che produce nuovo precariato con sempre più numerose e certe condanne del Miur al pagamento di scatti stipendiali, mensilità estive, risarcimenti, spese legali.