L’omicidio del giovane che aveva ucciso (omicidio colposo) una giovane durante un incidente stradale, è occasione per fare alcune precisazioni. Fondamentali per la nostra comunità civica. Precisazioni che, per chi come noi opera nel continuo richiamo al rispetto delle regole, e considerando che a suo tempo abbiamo più volte esternato la nostra contrarieta’ al cosiddetto reato di omicidio stradale, crediamo possa servire per meglio definire la nostra azione in difesa e per l’affermazione dei diritti dei cittadini utenti e consumatori.
Colpisce, per esempio, che la Chiesa cattolica romana, tramite il vescovo di zona, sia intervenuta lamentando l’accaduto come frutto della lentezza della giustizia. Questo dopo le reiterate manifestazioni di cittadini che chiedevano -a loro modo- giustizia. Un contesto che ha portato l’ex-marito della donna che era morta nell’incidente provocato da un guidatore che era passato col semaforo rosso, a decidere di uccidere il reo-confesso di questo omicidio colposo. Una decisione premeditata e studiata, cosi’ come si evince dalle cronache riportate dai media locali e non solo. La differenza tra omicidio premeditato e colposo è nota a chiunque. Il secondo, per quanto abbia risultati di fatto tragici per le vittime, e’ comunque frutto di un incidente; causato da una persona che ha violato una norma, ma non certo con l’intenzione di uccidere. Il nostro legislatore, di recente, sulla spinta emotiva di tragici fatti, ha indurito le pene per l’omicidio colposo, ma non ha modificato la fattispecie.
Quel che a noi qui interessa è il contesto, la cultura, l’informazione. Cioè tutto quello che mira a creare una sorta di opportunità per chi -proprio come nel caso di Vasto- si senta in qualche modo approvato dai piu’ per rivendicare una giustizia a suo modo più funzionale alle sue esigenze. E nel nostro caso le esigenze hanno portato il marito della signora uccisa in quell’incidente stradale in cui non aveva nessuna colpa, a premeditare e decidere di farsi giustizia ammazzando chi l’aveva privato di sua moglie.
Ci sono coloro, anche tra gli eletti nelle istituzioni, che giustificano atti delittuosi del genere, rivendicando una sorta di giustizia “dente per dente”, modello sharia, dove vengono chiamati i parenti delle vittime ad eseguire le pene corporali -fino all’esecuzione capitale- dei colpevoli. Su questi abbiamo poco da dire: sono nemici del nostro modello di civilta’ che, nolenti o meno, e’ quello che sta garantendo al Pianeta una migliore qualita’ della vita. E come nemici li combattiamo, ricordando che se non si combattono con determinazione e chiarezza, non ci stupiamo se domani un qualche parente della persona uccisa dal nostro marito di Vasto, faccia altrettanto.
Quelli che invece piu’ ci preoccupano sono coloro che dicono “si’, pero’”. Cioe’ riconoscono che la giustizia non possa essere esercitata modello giungla, ma sostengono di capire atti come quelli di Vasto e che “al suo posto non saprei cosa avrei fatto”. E’ la cultura della riprovazione istituzionale e della approvazione culturale (emotiva e’ troppo poco, anche se l’emotivita’ e’ il punto di partenza). Tra questi troviamo anche persone di diritto e non solo il classico avventore di un bar. Ci preoccupano perche’ portano a creare un clima di giustificazione dove alcuni piu’ “deboli”, si sentono legittimati nel passare dal dire al fare.
Questo cultura del “si’, pero’” ha diverse origini. Si comincia con il piu’ che mai frequente iato tra istituzioni e cittadini, e si finisce con l’accettazione dell’evasione fiscale, piccole truffe, furbizie, illegalita’ di diverso tipo ed entita’. Una situazione a cui abbiamo esigenza di porre un rimedio, ognuno per la propria responsabilita’ e per il proprio ambito, altrimenti ne va di mezzo il nostro contratto comunitario e civile. Noi di Aduc lo facciamo tutti i giorni con la scuola di legalita’ che e’ la nostra attivita’. Ci aspettiamo altrettanto da tanti altri, soprattutto a partire dallo Stato.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc