Commercio al dettaglio: in sei anni vendite diminuite di 7,7 miliardi

La crisi del commercio al dettaglio non si ferma. Nel 2016 il settore ha registrato, rispetto al 2010, una diminuzione delle vendite di circa 7,7 miliardi, oltre 300 euro di spesa in meno per famiglia. Ma la perdita non è equamente divisa tra le varie forme distributive: a crollare sono infatti soprattutto le vendite dei negozi della distribuzione tradizionale, diminuite di 6,9 miliardi in sei anni. E’ quanto emerge da un’analisi dell’Ufficio Economico Confesercenti, basata sull’elaborazione dei dati sulle vendite del commercio al dettaglio Istat. I dati delle vendite degli ultimi cinque anni – spiega l’ Ufficio Economico – mostrano una profonda crisi soprattutto per le imprese del commercio tradizionale. Il comparto cumula, tra il 2011 ed il 2016, una riduzione di quasi 10 punti percentuali del valore delle vendite, con perdite rilevanti sia sul fronte dei beni alimentari (-11%, circa 2,4 miliardi di euro in meno) che su quello del no food ( -9,3%, pari ad una riduzione di circa 4,5 miliardi di euro). Di conseguenza si è ridotta ulteriormente la quota di mercato degli esercizi di minori dimensioni, ormai pari a circa il 27% sul totale ed al 16/17% nel comparto grocery.

Un po’ meglio va alla grande distribuzione, che limita il calo delle vendite complessive al –1,2%. Ma a tenere su il dato sono le vendite alimentari nei discount: spostando l’analisi sui due macrocomparti merceologici food e no food, infatti, emerge anche per la GDO, una contrazione rilevante (-6,5% per circa 3,1 miliardi in meno) delle vendite di prodotti non alimentari. Tuttavia, indagando la tipologia distributiva, è chiaro che siano stati i soli Discount ad incrementare le vendite, mentre gli altri esercizi a prevalenza alimentare registrano variazioni negative. Segno evidente di uno spostamento del consumatore verso il risparmio.

I consumatori italiani, effettivamente, sembrano aver tagliato tutti i possibili acquisti nei negozi. A parte le vendite alimentari, che però crescono solo dello 0,1%, tutte le altre voci appaiono negative. Perfino quella relativa a farmaci e prodotti terapeutici, un tempo giustamente ritenuta incomprimibile, ma che in questi sei anni ha registrato una flessione del 7,4% delle vendite. Ma a perdere più di tutti sono le vendite di libri, giornali, riviste e prodotti di cartoleria, che registrano una contrazione del 15,6%. Picchi negativi anche per gli elettrodomestici, in discesa del 10,4%, e dei prodotti moda: abbigliamento e pellicceria scendono del 7,9%, mentre le vendite di calzature e articoli in cuoio lasciano sul campo il 7,5%. E pure le nuove tecnologie sono al palo: l’informatica e la telefonia mostrano una flessione del -12,6%.

“Durante questi anni di crisi – spiega Mauro Bussoni, Segretario Generale Confesercenti – la recessione ed i cambiamenti nei comportamenti di spesa delle famiglie hanno fatto sì che si riducessero molto le vendite del commercio in sede fissa e si mettesse in atto una redistribuzione interna delle stesse. Oltre la crisi, ha pesato certamente l’accresciuta incidenza dell’ecommerce, ed è sempre più probabile che il futuro sia caratterizzato da una fase di concorrenza fra le varie reti distributive: grande distribuzione, distribuzione tradizionale e commercio online, con la vittoria finale delle imprese che riusciranno ad ibridarsi meglio. Nel frattempo, però, c’è bisogno di interventi mirati al sostegno dei negozi tradizionali: il rischio è che la rete salti prima di riuscire a modernizzarsi”.