FIGLI DI UN DIO MINORE

Il Governo, dopo avere varato ogni possibile compressione della “domanda giudiziaria” (sbarramenti tributari, depenalizzazione, filtri processuali, ampliamento dei riti sommari, obbligatorietà degli adempimenti conciliativi), continua a impedire l’incremento della “risposta giudiziaria”, attuabile attraverso l’aumento e la razionalizzazione dell’apporto dei magistrati onorari, così disapplicando il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).

Il Governo discrimina i giudici onorari di tribunale, i vice procuratori onorari e i giudici di pace, disincentivando o impedendo un loro più efficace apporto e così gravando irragionevolmente i magistrati di ruolo con la persistente attribuzione di funzioni che potrebbero essere più razionalmente devolute a quelli onorari.

Nonostante il Comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa, lo scorso 16 novembre 2016, abbia definitivamente stabilito che l’Italia deve assicurare a questi ultimi una remunerazione ragionevole in caso di malattia, di maternità o paternità e il pagamento di una pensione correlata al livello di remunerazione, stabilendo anche la natura discriminatoria dell’attuale inquadramento della magistratura onoraria, il Governo italiano prosegue nei loro confronti la disapplicazione dei principi sanciti nella Costituzione italiana (artt. 35, 36, 37, 38 e 107 Cost.), nella Raccomandazione sui giudici approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa CM/Rec(2010)12 del 17 novembre 2010 (applicabile a chi concorra stabilmente all’esercizio della giurisdizione) e nelle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea O’Brien e Mascolo.

Le predette fonti costituzionali e sovranazionali condurrebbero alla necessità di modificare e integrare i contenuti della legge 57/2016 che, nel delegare al Governo la riforma della categoria, impedisce di prorogare i loro contratti per oltre quattro quadrienni e contiene irragionevoli limitazioni al loro utilizzo full-time, vietando carichi di lavoro che pregiudichino l’esercizio di altra concomitante attività retribuita.

La segnalazione di tali criticità, d’altronde, era stata ignorata dal Governo che, durante l’iter parlamentare di approvazione della delega, aveva pervicacemente imposto il proprio iniquo disegno di legge, ingiungendone l’acritica approvazione alle Camere, entro tempi contingentati, a colpi di maggioranza, col respingimento in blocco di quasi tutti gli emendamenti che avrebbero potuto riequilibrarne i passaggi più iniqui e disfunzionali al buon andamento della giustizia.

All’indomani dell’approvazione della predetta legge, il Ministro aveva nondimeno osservato come la delega consentisse comunque innovazioni migliorative rispetto allo status quo e come fosse il massimo punto raggiungibile nel contemperamento tra le istanze della categoria e quelle della magistratura di ruolo, a suo dire ostile a una più netta stabilizzazione di quella onoraria.

Aveva tuttavia garantito che sarebbe stata fatta applicazione dei poteri legislativi delegati nella misura massima possibile, ai fini di sancire un più dignitoso inquadramento della magistratura onoraria e di accordare a quest’ultima il massimo possibile riconoscimento di competenze funzionali e di diritti, tra cui quelli alla permanenza in servizio per ulteriori sedici anni e a una retribuzione prevalentemente fissa completa di adeguata contribuzione previdenziale.

Autorevoli esponenti del Ministero della giustizia hanno tuttavia rivelato, più recentemente, in contesti ufficiali, la notizia che la delega legislativa di cui alla citata L. 57/2016 sarà esercitata solo in minima parte e secondo linee direttrici diagonalmente opposte a quelle anticipate dal Guardasigilli all’indomani della sua pubblicazione.

La delega resterà “lettera morta” in materia di trasferimenti e di riforma disciplinare; non saranno previsti tutti gli ulteriori quadrienni di permanenza in servizio oltre a quello in corso e i magistrati onorari potranno essere utilizzati dai capi degli uffici giudiziari per non più di una volta a settimana!

Tale virata mirerebbe a dimostrare – e non é chiaro come – la natura non discriminatoria del trattamento riservato al magistrato onorario, in quanto, rendendo quanto mai saltuario l’apporto fornito da tale figura professionale, si perseguirebbe l’intento politico di eludere i moniti dell’Europa, ove è stato avviato un precontenzioso EU-PILOT che potrebbe sfociare in una procedura di infrazione avente a oggetto proprio la discriminazione dei magistrati onorari.

Il Governo si dispone insomma ad attuare una precarizzazione ancora più generalizzata e acritica della magistratura onoraria, confidando che tale destrutturazione estrema possa, secondo una paradossale logica che prescinde dal buon andamento della funzione giudiziaria, salvare l’Italia da un epilogo invero auspicabile dai cittadini: la stabilizzazione lavorativa e previdenziale dei magistrati onorari e il rafforzamento del loro apporto funzionale.

L’interesse pubblico prevalente su qualsiasi altro dovrebbe infatti essere quello al rilancio della giustizia ordinaria, in quanto correlato strettamente alla tutela dei cittadini e al rilancio dell’economia di libero mercato; ma il Governo sembra pretermetterlo, sul presupposto che prevalgano su di esso altri interessi non tutelati dall’ordinamento, quale quello di impedire una riqualificazione, della magistratura onoraria, a torto ritenuta dal Ministro pregiudizievole per le prerogative esclusive di quella di ruolo.
Eppure, nel 2010, quando il Presidente del Consiglio dei Ministri era Silvio Berlusconi, Andrea Orlando, all’epoca presidente del “Forum Giustizia” del Pd, diramava un comunicato stampa facendo un appello al Governo – prima che cada – perché affrontasse alcune urgenze, tra cui la “la stabilizzazione della magistratura onoraria, che superi la precarietà, e dia regole certe a questo fondamentale pezzo della giustizia”.

E’, tuttavia, sufficiente leggere la nostra Carta fondamentale, in cui si pongono precisi limiti alla magistratura onoraria, vincolanti sia per il legislatore nazionale sia per quello sovranazionale.

L’ordinamento costituzionale consente al legislatore di distinguere i magistrati soltanto in base alle funzioni esercitate (art. 107, comma 3 Cost.); in coerenza con tale limite, la nomina di magistrati onorari è ammessa per le sole funzioni attribuite a giudici singoli (art. 106, comma 2, Cost.), ossia meno rilevanti rispetto a quelle devolute ai magistrati di carriera reclutati tramite concorso (art. 106, comma 1) o tramite chiamata diretta alle funzioni di consigliere della Cassazione (art. 106, comma 3, Cost.).

Tale criterio distintivo costituisce anche un controlimite invalicabile dal legislatore comunitario, in quanto le modalità di riparto delle funzioni giudiziarie, rispettivamente devolvibili ai magistrati di carriera e onorari, afferiscono alla così detta funzione costitutiva, ossia all’instaurarsi dello Stato come potere supremo che stabilisce, per assolvere alle proprie funzioni, quali di esse siano attribuite ai singoli organi del proprio ordinamento, aspetto non sindacabile, di per sé, dal diritto sovranazionale e dalle relative corti giurisdizionali, in quanto afferente ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano.

Impregiudicata da parte del vigente impianto costituzionale è quindi la possibilità che, tra le superiori funzioni riservate alla magistratura di ruolo, vi siano quelle afferenti l’elettorato attivo e passivo presso gli organi di autogoverno e quelle c.d. presidenziali, semi-direttive e direttive, ossia che implicano un coordinamento o una direzione di altri singoli magistrati.

Coerentemente con tale impianto, il legislatore ordinario ha ritenuto di potere attribuire a magistrati onorari anche funzioni di appello (è il caso dei giudici ausiliari delle sezioni civili delle corti d’appello), prescindendo dal conseguimento del corrispondente grado nella carriera giudiziaria della magistratura di ruolo, ma non anche, ad esempio, funzioni di presidenza dei collegi giudicanti.

Un coinvolgimento vi è poi stato per i magistrati onorari nell’attività di autogoverno, ma limitatamente alle attività istruttorie che più strettamente li riguardino e nel solo livello decisionale locale, ossia in seno ad organi distrettuali quali i consigli giudiziari, alle cui funzioni organizzative e disciplinari essi concorrono, senza tuttavia integrarne la composizione plenaria nella fase deliberante finale.

In coerenza con l’assetto sopra ricostruito, le pronunce degli organi sovranazionali – che agitano immotivatamente gli Uffici tecnici di via Arenula, inducendoli a frettolose e autolesionistiche contromosse di assai dubbia legittimità costituzionale – sono rispettose delle prerogative dell’ordinamento nazionale italiano in ordine al riparto di funzioni tra magistratura di ruolo e onoraria, né mai potrebbero ingerirsi in tale aspetto sulla base dei vigenti trattati o senza violare, per i predetti motivi, i citati controlimiti dell’ordinamento costituzionale italiano.

Tali pronunce si limitano infatti a stimmatizzare l’abusivo ricorso al lavoro temporaneo e il disconoscimento dei diritti retributivi e previdenziali riconosciuti ad altri lavoratori che esercitino le medesime funzioni, sotto la premessa che la stessa Costituzione italiana non contempla tale singolarità, neppure implicitamente o per relationem, tra quelle connaturali alla figura del magistrato onorario. Vale a dire: “onorario” non significa e non deve significare “precario”, soprattutto se la onorarietà riguarda l’esercizio di funzioni fondamentali dello Stato italiano!

Anzi, tali violazioni integrano una discriminazione rilevabile già sulla base della Costituzione italiana.

La nostra Carta fondamentale non prevede, infatti, tra magistrati, distinguo ulteriore rispetto a quello fondato sulle funzioni, ma al contempo accorda indistintamente ai magistrati tutti, prescindendo dalla natura delle funzioni devolute, i diritti di inamovibilità di sede e di dispensa dal servizio (contemplati dall’art. 107, comma 1, Cost.), a loro volta strumentali alla salvaguardia della intera magistratura, costituendola come ordine autonomo da ogni altro potere.

È ora appena il caso di osservare che tali guarentigie non tollerano deroghe neppure per i magistrati onorari, in quanto tale eventualità consentirebbe di precarizzare l’intera magistratura o gran parte di essa devolvendo a magistrati monocratici non autonomi e non indipendenti tutte le funzioni attribuite a giudici singoli (ipotesi in astratto compatibile col dettato di cui all’art. 106, comma 2, Cost.).

Né contrastano con tale ricostruzione quelle pronunce nazionali con le quali corti italiane, composte da magistrati di ruolo, hanno talvolta negato l’inclusione di alcune specifiche figure di magistrati onorari nel così detto “ordine giudiziario”, con tale locuzione essendosi fatto riferimento alla carriera giudiziaria, e non anche al complesso unitario della magistratura e, quindi, al sottosistema giurisdizionale composto da chi eserciti – a qualunque titolo legittimo, inclusa la nomina onoraria – la funzione giudiziaria.

La Corte Costituzionale ha poi sempre negato che possa istituirsi, attraverso la qualificazione onoraria del rapporto di servizio, una figura precaria di magistrato, esprimendo circostanziata tolleranza verso eventuali compressioni del divieto costituzionale in parola, esclusivamente in considerazione della natura meramente temporanea delle norme, di rango legislativo ordinario, che hanno talvolta permesso un affievolimento, limitato al breve periodo, delle garanzie di autonomia e indipendenza dell’intera magistratura, coessenziali a tutte le sue componenti costitutive.

In tale solco si poneva l’art. 245 del D.lgs 51/1998, il quale consentiva la persistente presenza di magistrati onorari negli uffici giudiziari di tribunale e presso le relative procure, ma solo sino al varo di una riforma della categoria che fosse stata attuata ai sensi dell’art. 106 della Costituzione; ossia, come osservato, individuando criteri di riparto tra magistratura di ruolo e onoraria fondati sulla natura delle funzioni devolute a quest’ultima. Il suddetto decreto legislativo, che ha attuato la riforma ordinamentale del giudice unico, ha inserito dopo l’art. 43 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, l’art. 43 bis, rubricato funzioni dei giudici ordinari ed onorari addetti al tribunale ordinario, disegnando, accanto alla figura del giudice ordinario, la figura del giudice onorario. La norma definiva i giudici onorari come coloro che non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari, dunque, curiosamente, la nuova figura nasceva confinata nel limbo del non fare, non tenere udienza se non, conferendole un ruolo di assoluta marginalità all’interno del sistema giustizia.
Tale ruolo giustificava e rendeva coerente il trattamento economico deleterio riservato ai giudici onorari, rispetto alla figura del giudice di pace e del giudice onorario aggregato, mediante corresponsione di un’indennità di udienza di L. 190.000 lorde, ed il limite massimo di due indennità giornaliere (cfr. art. 8, L. 22.7.1997, n. 276).
La cronica carenza di organico, i periodici trasferimenti, le sistematiche, prevedibili assenze per malattia, maternità e puerperio dei magistrati di carriera, hanno però suggerito il ricorso sempre più elastico alla figura del giudice onorario. La distanza dalla prima interpretazione della norma istitutiva del giudice onorario da parte del CSM, espressa nella risoluzione del 20.04.2000, si pone infatti già con la circolare sulla formazione delle tabelle per il biennio 2004-2005, laddove abbandona l’iniziale tesi dell’utilizzo del giudice onorario in funzione collaborativa, per assegnargli un ruolo non più collaborativo, in linea con la norma istitutiva di questa figura, quanto funzionale all’obiettivo del buon funzionamento dell’ufficio, prevedendo così l’assegnazione di un proprio ruolo in alcune tipologie di materie (esecuzione mobiliare, prove delegate, tutti gli affari penali della Pretura ancora pendenti, ecc.). In questa fase ancora l’utilizzo dei giudici onorari nei collegi era assai residuale, permanendo la possibilità del loro impiego per la sostituzione nelle funzioni monocratiche nel caso di assenze nell’ufficio o vacanze di ruolo. Con la circolare sulla formazione delle tabelle per il triennio 2009-2011, il CSM ha proseguito nella sua interpretazione creativa della norma e messo in atto un impiego ancora più intensivo della figura del giudice onorario, ciò ha fatto mediante l’estensione delle cause di impedimento dei giudici ordinari tali da legittimare il ricorso al giudice onorario. Ha affermato che “la nozione di impedimento potrebbe configurarsi anche in modo più ampio, ossia in tutte quelle situazioni non strettamente riconducibili ad impegni processuali coincidenti con una certa udienza, ma in cui debba comunque considerarsi il complessivo carico di lavoro del giudice in un determinato arco temporale, e quindi la trattazione di un certo numero di processi particolarmente impegnativi per complessità o numero delle parti in concomitanza dell’ordinario carico di lavoro. Nelle situazioni suddette ben può parlarsi di un impedimento contingente che può essere fronteggiato con l’utilizzazione di un GOT cui attribuire parte degli affari del giudice togato in tal modo impedito, fatti ovviamente salvi gli affari che il magistrato onorario non può comunque trattare”.
Nella nuova circolare Tabelle per il triennio 2012-2014 viene tracciato un percorso innovativo nell’utilizzo dei giudici onorari, per la verità già adottato in via sperimentale e con successo da taluni Tribunali, con l’introduzione del modello dell’impiego del giudice onorario mediante affiancamento sul ruolo di un giudice ordinario. Lo sdoppiamento dell’unico, corposo ruolo già assegnato ad un giudice ordinario ha determinato un evidente vantaggio per il giudice c.d. togato, ha poi consentito ai Capi degli Uffici di tenere a freno la categoria degli avvocati, che esasperati per le lungaggini processuali e la permanenza ad libitum dei procedimenti sugli scaffali polverosi delle cancellerie, assistevano passivi all’avvicendamento sul medesimo ruolo di svariati giudici ordinari, senza mai intravedere il traguardo della decisione anche per cause di pronta definizione.
E’, dunque, evidente che il maggiore vantaggio dall’adozione di questa nuova metodica di impiego dei giudici onorari lo hanno tratto i Capi dell’Ufficio, che ogni anno hanno potuto sfoggiare statistiche di tutto rispetto sull’attività svolta, con cifre a quattro zeri conseguite con l’apporto assolutamente irrinunciabile dei giudici onorari.
Ciò poiché nel tempo, nella fila della magistratura onoraria di tribunale, accanto a soggetti che hanno lentamente maturato specifiche e consolidate professionalità, sono entrati professionisti navigati, ricercatori, studiosi del diritto, avvocati, che hanno messo a disposizione le loro competenze con entusiasmo e spirito di servizio verso un ufficio che, sebbene con garbo, ha continuato pur sempre a considerarli corpo estraneo, un corpo estraneo che però tornava utile e vantaggioso nelle statistiche annuali, che registrano l’attività resa e il contributo sostanziale da essi fornito nel raggiungimento dell’obiettivo di smaltimento dell’arretrato.
Nessun vantaggio concreto è derivato agli onorari dal loro utilizzo intensivo nella catena di montaggio del sistema giustizia; infatti pur continuando ad essere retribuiti ad udienza, per costoro il sistema dell’affiancamento e dell’assegnazione di un ruolo autonomo in caso di vacanza, ha imposto prevalentemente lavoro da svolgere fuori udienza, in ogni periodo dell’anno, anche quello estivo, in cui non si tiene udienza, e quindi senza indennità, senza ferie, senza copertura previdenziale ed assicurativa per malattia e maternità.
In due decenni l’utilizzo intensivo e spregiudicato del giudice onorario non solo non ha condotto ad un aumento in termini di riconoscimento di diritti quanto, nel passaggio Lira/Euro, la loro indennità ha pure subìto un arrotondamento in pejus; infatti l’originario importo di L. 190.000, corrispondente esattamente ad euro 98,13, è stato dal Ministero convertito in euro 98,00 (che diventano circa 72,00 euro al netto dell’Irpef)!
I giudici onorari di tribunale sono i più penalizzanti all’interno della stessa magistratura onoraria, venendo pagati solo ad udienza (due in media alla settimana=150 euro netti circa, a differenza dei vice procuratori onorari impegnati tutti i giorni in udienza) senza alcuna indennità aggiuntiva per tutta l’attività fuori udienza (sentenze, ordinanze, decreti di ammissione e liquidazione di gratuito patrocinio agli avvocati, decreti di liquidazione a periti, incidenti di esecuzione, etc…), a differenza dei vice procuratori onorari, ai quali è stato riconosciuto il pagamento dell’attività fuori udienza quando Ministro della Giustizia era Angelino Alfano, nonchè dei giudici di pace, i quali hanno diritto, oltre ad un fisso mensile, a un’indennità per l’udienza e a un’indennità per i provvedimenti.
Se si continuerà a non assumere alcuna iniziativa legislativa concreta a tutela dei diritti fondamentali dei magistrati onorari e in particolare dei giudici onorari di tribunale, continuando a non prevedere il pagamento dell’attività fuori udienza di questi ultimi, che è la maggior parte, salterà anche il modello dell’affiancamento: nessun giudice onorario sarà disponibile, se ancora più precario di oggi, a portare i compiti a casa gratuitamente. Tutto il loro impegno sarà concentrato inevitabilmente in udienza, per evitare che tutta l’attività gratuita prestata fuori udienza si traduca, come finora successo, in una forma di indebito arricchimento da parte dei tribunali e dell’amministrazione giudiziaria.
Inoltre, la polverizzazione degli incarichi determinerà difficoltà nella gestione di personale prevalentemente assente, disaffezione all’ufficio da parte dei giudici onorari attualmente in servizio, perdita di professionalità acquisite in decenni di esperienza.
In conclusione: non vi saranno in futuro statistiche che brilleranno della luce dei G.O.T.!
I GIUDICI ONORARI DI TRIBUNALE dicono basta a questa forma di sfruttamento e vogliono riconoscenza, prevedendo da subito il pagamento di tutti i provvedimenti fuori udienza, in mancanza dell’attuazione di una riforma organica della magistratura onoraria che preveda e riconosca i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Carta Costituzionale a tutela di ogni forma di lavoro ed in primis della dignità della persona. Non è Stato di Diritto quello Stato che, per risparmiare, delega l’esercizio della giurisdizione ad una categoria di giudici senza diritti!

Quanto agli aspetti retributivi, assicurativi e previdenziali, trattasi di diritti che riguardano il lavoratore, prima ancora che il magistrato; la natura onoraria del servizio reso consente quindi una diversa qualificazione civilistica o fiscale dei compensi retributivi, attraverso la esclusiva corresponsione di indennità in luogo dei trattamenti compositi erogati ai magistrati di carriera che includono sia stipendi sia indennità. Deve però escludersi, come per gli altri funzionari onorari (solitamente componenti di organi elettivi monocratici o collegiali) che possa essere negata la corresponsione di indennità adeguate, ossia proporzionate alla funzione assolta. Altrimenti anche per i Consiglieri regionali e Parlamentari italiani l’indennità dovrà essere commisurata alla loro effettiva presenza in aula o nelle commissioni (il c.d. gettone di presenza) e senza nessun altro emolumento (rimborso spese, vitalizi, etc..).

Nel caso di specie, la gratuità della prestazione è vieppiù esclusa dalla natura tutt’altro che onorifica di un incarico che si presenta connotato da adempimenti di rilevanza, complessità e gravosità tali da collocare chi ne sia titolare ai vertici dello Stato-comunità, in quanto soggetto professionalmente addetto all’apparato giurisdizionale per il tempo di effettiva attribuzione e di concreto esercizio dei relativi poteri.

Tali caratteri trovano, a valle, conferma nell’inquadramento fiscale dei predetti compensi, percossi, tra gli altri, dal tributo IRPEF.

Deriva da tali valutazioni che la modicità dei compensi talvolta previsti dall’ordinamento è riconducibile esclusivamente alla loro inadeguatezza fattuale e non trova giustificazione nella connotazione pseudo-gratuita o riparatoria degli emolumenti erogati, che sarebbero altrimenti sottoposti ad altro regime impositivo.

Le predette considerazioni intendono dimostrare come occorra tenere distinto l’aspetto lavoristico e quello ordinamentale.

L’approccio condiviso dal Governo, sin dal varo dello schema di legge delega, ora enfatizzato dall’inaccettabile deriva autocratica che si prospetta in sede di decretazione attuativa, accede invece a una confusionaria commistione tra lo statuto del magistrato onorario come lavoratore (qualifica non a caso negatagli secondo una più retriva interpretazione) e quello che gli compete come organo della giurisdizione ordinaria.

Chiarito che il riconoscimento dei diritti lavorativi non comporta la condivisione da parte dei magistrati onorari di ulteriori prerogative riservate ai magistrati di ruolo, quali l’accesso a funzioni direttive e semi-direttive (progressione di carriera), appare evidente come ostativi al riconoscimento a favore dei magistrati onorari dello status di lavoratori a tempo indeterminato, con la corresponsione di retribuzioni proporzionate alla quantità e qualità del lavoro svolto, vi siano esclusivamente pregiudizi ideologici o, più tecnicamente, interessi “altri” rispetto al buon andamento della funzione giudiziaria.
Eppure, in passato, c’era stata la stabilizzazione dei vice pretori onorari, inizialmente con il decreto legislativo luogotenenziale del 30 aprile 1946 numero 352, riservato ai vice pretori onorari con almeno tre anni di servizio, e, successiva¬mente, con la legge 4 agosto 1977, numero 516, Sistemazione giuridico-economica dei vice pretori onorari reggenti di pre¬ture prive di titolare da almeno quindici anni ed in servizio al 30 giugno 1976 con remunerazione a carico dello Stato, non esercenti la professione forense, né altra attività retribuita (GU n. 224 del 18-8-1977).

Tali concorrenti interessi non appaiono tuttavia ancorati a valori di rilevanza costituzionale confrontabile con quelli che presidiano l’imparziale ed efficiente esercizio della giurisdizione, soprattutto all’esito della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), che impone al legislatore ordinario di riconsiderare in un’ottica di efficienza ed efficacia anche l’apporto della magistratura onoraria.

Consapevole di tale ineluttabile scenario, il Parlamento aveva anche impegnato il Governo, con formale ordine del giorno, a riconoscere una retribuzione annua non inferiore a 36.000 Euro per i magistrati onorari, a riprova della necessità di riprogrammare in chiave moderna la figura professionale in esame, ponendola al riparo da quella condizione di disagio discendente da un trattamento economico pseudo-gratuito tipico del mero volontariato sociale.

Una siffatta riqualificazione appare preferibile, anche sotto il profilo della finanza pubblica, rispetto all’inabissamento della magistratura onoraria che si determinerebbe tentando di compensare il ridotto utilizzo pro capite dei magistrati onorari con l’ampliamento indiscriminato della loro consistenza numerica da 5.000 a 13.000 unità (secondo l’ipotesi prospettata dai tecnici di via Arenula, che ipotizzano 8.000 nuovi reclutamenti aggiuntivi).

Deve infatti osservarsi che accordare a 13.000 magistrati onorari un compenso annuo esiguo, di 20.000 euro lordi, comporta il medesimo stanziamento in bilancio necessario per riconoscere un compenso annuo lordo di 52.000 euro ai 5.000 magistrati onorari attualmente in servizio. Tuttavia 13.000 magistrati che lavorassero un solo giorno a settimana per tutto l’anno, senza alcuna sospensione feriale, assicurerebbero solo 702.000 giornate lavorative effettive; mentre 5.000 magistrati onorari che lavorassero 4 giorni a settimana, assentandosi per ferie 8 settimane all’anno (32 giorni), assicurerebbero 920.000 giornate lavorative effettive, ossia il 31% in più.

Quale dunque può essere l’utilità di arruolare fino a 13.000 magistrati precari, anziché stabilizzarne 5.000 cui si riconoscano i diritti lavorativi in parola?

L’Associazione nazionale magistrati si è d’altronde sempre opposta a un consistente incremento della pianta organica della magistratura di ruolo, sul fondato presupposto che l’asticella della qualità non potesse essere abbassata e che una eccessiva parcellizzazione della giurisdizione insidiasse l’indipendenza e l’autonomia della magistratura italiana; tali assunti, se condivisi, valgono anche per la magistratura onoraria.

Ma ancora più dirimente pare l’osservazione che è decisamente più convincente ed efficiente un modello organizzativo che punti sulla presenza di un limitato numero di lavoratori fidelizzati alla propria funzione, piuttosto che su una galassia di consulenti saltuari, opportunisticamente collegati all’esercizio della funzione giudiziaria da un rapporto ad occasionale chiamata, ossia al di fuori di una quotidiana e continuativa osmosi con l’ufficio giudiziario di appartenenza e con lo stabile e professionale esercizio di una così delicata funzione.

Invero la mossa del Governo suona come ispirata da un contegno che, col massimo rispetto per l’Esecutivo, ma con la necessaria schiettezza richiesta da relazioni istituzionali leali, potrebbe essere definito obiettivamente ritorsivo verso le iniziative a tutela assunte dalla categoria in sede sovranazionale.

Le dichiarazioni di chi accudisce la delicata vicenda convergono, infatti, come ricordato, nell’individuare l’origine della imminente controriforma unicamente nell’attivazione delle procedure precontenziose in sede comunitaria; quasi che in precedenza a tali iniziative non sussistessero i medesimi vincoli sovranazionali dedotti in sede eurocomunitaria o quasi non fossero stati, detti vincoli, posti in evidenza insistentemente dalle rappresentanze della magistratura onoraria, ben prima del varo della legge delega 57/2016.

Dietro l’approccio del Governo è impossibile non scorgere le interferenze di una struttura ministeriale che fa propria certa tralatizia cultura del sospetto verso il magistrato onorario, visto come entità da utilizzare mantenendolo al contempo a distanza.

Tale approccio, di cui non si ignora l’iniziale ragionevolezza, sconta oggi il suo anacronismo e rischia di essere disallineato da quello dai magistrati titolari di responsabilità dirigenziali negli uffici giudiziari, i quali, pur avendo la stessa provenienza e appartenenza organica dei propri colleghi in forza al dicastero di Via Arenula, hanno negli ultimi anni assunto posizioni conseguenti alla maturata consapevolezza che le istanze della magistratura onoraria sono infine funzionali al rilancio della giustizia ordinaria e dell’intera magistratura e coerenti con identità professionali che hanno compiuto importanti avanzamenti culturali, favoriti dal vigente sistema di formazione permanente.

L’apporto dei magistrati onorari è riconoscibilissimo e l’obiettivo oscuramento delle risultanze statistiche ufficiali non è in grado di celare la loro opera, ben visibile di giorno in giorno e sempre di più in tutte le aule giudiziarie d’Italia.

È quindi giunto il momento che la VERITÀ su tale figura, coessenziale al sistema, sia portata allo scoperto e il nodo, tutto italiano, di una magistratura professionale ma precaria, sia sciolto individuando ipotesi di riforma coerenti con la salvaguardia della sua autonomia e indipendenza, valori non sacrificabili sull’altare di interessi corporativi, peraltro reinterpretati troppo liberamente da chi ha esteso i testi della legge delega e si accinge a redigere i relativi decreti attuativi.

Si allude in particolare al fatto che una magistratura onoraria debole, quale quella disegnata dalle fonti legislative già promulgate o di prossima emanazione, è disfunzionale non solo al cittadino utente, ma anche a quella magistratura di ruolo che al pari di altri apparati e sistemi pubblici, come il personale delle carriere prefettizia, diplomatica, o degli ufficiali e dirigenti delle forze armate e di polizia deve pur disporre dietro di sé di una “seconda linea, sulla quale caricare stabilmente il peso delle proprie attività seriali o di più attenuato rilievo.

Diversamente la magistratura così detta “togata” è destinata a soccombere sia in termini di efficienza, sia in termini di reputazione goduta presso la collettività statale, di cui è la massima e più diretta espressione allorché pronuncia le proprie sentenze “in nome del Popolo italiano”.

Impedire una forte valorizzazione della magistratura onoraria, senza al contempo esprimere soluzioni alternative credibili per il rilancio della funzione giudiziaria, appare oggi tanto più anacronistico in relazione all’evoluzione del diritto sovranazionale, che non intende con i propri arresti insidiare il primato della magistratura di ruolo, ma solo tutelare un novero minimo di diritti e tutele che prescindano dallo status di magistrato di ruolo o onorario, sul presupposto, sostanzialmente enunciabile coi termini utilizzati dalla nostra stessa Costituzione, che essi si distinguano tra loro come già ricordato per la sola diversità di funzioni.

Il bilanciamento tra l’interesse di certa parte della magistratura di ruolo a marcare la distanza con quella onoraria e l’impossibilità della prima di riassorbire le competenze della seconda, non può che condurre alla scelta di potenziare l’apporto dei magistrati onorari stabilizzandone la presenza nell’ordinamento giudiziario, pur ribadendo le loro competenze e prerogative in coerenza col già citato precetto costituzionale, che impone una distinzione sulla base della qualità delle funzioni attribuibili ai magistrati onorari, consentendo di ammettere i soli magistrati di ruolo alla titolarità delle prerogative dirigenziali e dell’autogoverno.

Benché l’esercizio della funzione politica sia libera negli scopi e non ancorata all’obbligo meta-giuridico di rispettare gli stringenti accordi istituzionali assunti con la categoria qui rappresentata, appare evidente che essa non potrà che tradursi in atti legislativi sui quali la Corte Costituzione e gli Organi di giustizia europei eserciteranno il controllo di legittimità costituzionale e di coerenza col diritto eurocomunitario.

In tali sedi non potranno che essere confermati gli attuali approdi della Corte di giustizia e del Consiglio d’Europa, i quali già hanno individuato come elusivi del divieto di discriminazione le attuali discipline della magistratura di pace italiana e di quella onoraria britannica; incombe poi sull’attuale inquadramento dei magistrati onorari di tribunale italiani una probabile pronuncia di infrazione avanti alla Commissione europea.

Partendo da tali presupposti, appare poco plausibile che una ulteriore precarizzazione dei magistrati onorari consenta di negare la natura discriminatoria del nuovo assetto.

La complessiva condotta del Governo, disfunzionale al buon andamento della funzione giudiziaria, si pone quindi in evidente e insanabile contrasto con l’autonomia e l’indipendenza dell’intero ordine giudiziario, integrando un vero e proprio conflitto tra poteri dello Stato ai quali, la Costituzione, accorda prerogative di reciproca autonomia, invero ancora più esplicite con riferimento alla tutela accordata all’ordine giudiziario, del quale la magistratura onoraria è una componente non sacrificabile, in quanto titolare di giurisdizione piena nei procedimenti a essa devoluti in base a criteri di competenza (come nel caso del giudice di pace) o di ordinaria assegnazione delle attività giudiziarie (come nel caso dei giudici onorari di tribunale, dei vice procuratori onorari e dei giudici ausiliari presso le corti d’appello).
Nondimeno ci si discosta da quanto espresso, qualche giorno fa, dall’Associazione Nazionale Magistrati, in relazione alla Legge 28.4.2016 n.57, in netto contrasto con molti Capi delle Procure e Presidenti di Tribunale, condividendo “la scelta del legislatore di salvaguardare i tratti salienti della magistratura onoraria, caratterizzata da occasionalità, accessorietà e temporaneità dell’incarico, come previsto dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali. Invero, la Costituzione non dice che i magistrati onorari debbano essere “precari”. Questa è un interpretazione unilaterale di quella parte della magistratura che avversa la figura dei magistrati onorari dotati di tutte le guarentigie spettanti a giudici singoli.
L’Anm riferisce che, “in conseguenza dell’irrisolta soluzione delle questioni relative alle carenze dell’organico nella magistratura professionale, essa è divenuta una risorsa allo stato imprescindibile per la giurisdizione, ma esprime perplessità per la scelta radicale di escludere i giudici onorari da ogni forma di collaborazione nelle sezioni specializzate in rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie ai sensi del criterio direttivo previsto dell’art. 2, comma 5 lett. C) della legge delega n.57/2016 atteso che, in assenza di un congruo aumento della relativa pianta organica, sarebbe gravemente compromessa la capacità di fare adeguatamente fronte alla domanda di giustizia in tempi ragionevoli in un settore nel quale sono coinvolti diritti afferenti alla dignità della persona. E che fine deve fare, invece, la dignità della persona magistrato onorario? Poco ce ne facciamo della vicinanza espressa dall’Anm alla magistratura onoraria per le rivendicazioni connesse all’assenza di un adeguato sistema previdenziale ed assistenziale, nonché del sostegno della stessa associazione nelle interlocuzioni finalizzate al rispetto dei diritti costituzionali garantiti secondo i caratteri propri della magistratura non professionale. Ci si chiede quali siano questi diritti costituzionali propri della magistratura non professionale.
Orbene, la nostra problematica non è una mera questione amministrativa che può essere lasciata alla decisione di tecnici del Ministero della Giustizia, ma è una questione politica perché attiene al lavoro ed alla vita di cinquemila famiglie di magistrati onorari.
Ed è la politica che deve, quindi, dare la soluzione garantendo la permanenza in servizio con funzioni giurisdizionali piene, una retribuzione rispettosa della funzione svolta e dell’anzianità e le tutele previdenziali per quei magistrati che per anni hanno esercitato il proprio ruolo senza tutele e senza alcuna regolamentazione, assicurando, però, pienamente il funzionamento dell’amministrazione della giustizia. Lo impone, peraltro, non solo la Carta Costituzionale, correttamente interpretata, ma anche l’Europa con la recente pronuncia resa nota il 16 novembre 2016 del Comitato Europeo dei Diritti Sociali.

Si chiede, pertanto, che i Consiglieri regionali, i Parlamentari ed Europarlamentari italiani, ciascuno nelle proprie sedi di competenza, si facciano promotori di un intervento presso il Governo e il Ministero di Giustizia per stimolare lo stanziamento delle risorse necessarie a una rimodulazione della spesa pubblica che includa la copertura dei disconosciuti diritti economici e previdenziali suddetti, rafforzando l’apporto della magistratura onoraria al buon andamento della giustizia civile e penale, oltre che stimolare un ripensamento del Governo che lo induca a rimodulare in chiave pluralista e democratica la riforma della magistratura onoraria, ventilandone i contenuti con i valori insopprimibili del dettato costituzionale.

In attesa che la riforma della magistratura onoraria venga attuata nel modo su esposto, si chiede che i suddetti Rappresentanti del Popolo italiano intervengano affinchè il Governo provveda, con decretazione d’urgenza, a stanziare le risorse necessarie per il pagamento dei provvedimenti fuori udienza dei giudici onorari di tribunale, onde evitare contenziosi civili ai danni dello Stato per la prestazione forzata di attività non remunerata e non prevista ab origine dalla legge primaria.

Il Presidente vicario 
Raimondo Orrù