Alternanza scuola-lavoro, i privatisti non potranno fare la maturità e manca il regolamento che tutela gli stagisti

Prosegue l’iter di approvazione sugli schemi di decreto legislativi della Buona Scuola: nelle ultime ore è arrivato il via libera prima dalla Conferenza Unificata delle Regioni e poi dall’Associazione nazionale comuni italiani, che hanno fornito il loro parere positivo sulle ultime quattro deleghe della Legge 107. Nei prossimi giorni, entro venerdì 17, giorno dello sciopero Anief e della manifestazione nazionale davanti al Miur, è atteso il parere finale anche delle commissioni parlamentari. Nel frattempo, nelle scuole la formazione degli studenti prosegue avvolta in una sorta di limbo, poiché si fa lezione tenendo conto delle vecchie regole, ma nello stesso tempo anche delle nuove introdotte dalla riforma Renzi-Giannini. L’apice di questa situazione d’incertezza si raggiunge con l’alternanza scuola-lavoro.

L’unica certezza è il numero minimo di ore da svolgere in azienda e con gli esperti del mondo del lavoro: attraverso il comma 33 della legge n. 107/2015, sono state infatti raddoppiate negli istituti tecnici e professionali, dove sono diventate 400, e approdate anche nei licei, in cui si svolgono 200 ore d’attività nel triennio finale. La stessa legge di riforma, approvata 20 mesi fa, al comma 37 indicava l’adozione di “un regolamento, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con cui è definita la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro, concernente i diritti e i doveri degli studenti della scuola secondaria di secondo grado impegnati nei percorsi di formazione di cui all’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53, come definiti dal decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, con particolare riguardo alla possibilità per lo studente di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza dei percorsi stessi con il proprio indirizzo di studio”.

Di tale regolamento, tuttavia, a oggi non c’è traccia, mentre il Governo si accinge ad approvare dei decreti legislativi sulla Buona Scuola che renderanno il quadro ancora più contraddittorio. Prima di tutto, perché si è deciso di agire sulla “revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale”, Atto 379, senza tenere conto della sentenza n. 284/2016 della Corte Costituzionale, che ha ricordato l’impossibilità di legiferare non tenendo conto della centralità delle Regioni su questo versante.

Anche nella ridefinizione degli indirizzi di studio si è rivendicata una maggiore “comunicazione” tra Stato ed Enti locali, oltre che un migliore collegamento col mondo del lavoro, sempre tutelando i diritti degli allievi attraverso la stipula di apposite convenzioni. A tal proposito, va sempre preso in considerazione lo statuto dei lavoratori, il D.M. 300/77, per il quale lo studente-lavoratore è un soggetto avente titolo a completare il percorso di studi. Allo stesso modo, lo statuto degli studenti e delle studentesse del 1998 accorda il loro diritto alla partecipazione alle attività extracurricolari organizzate dalla scuola.

Ma l’Alternanza scuola-lavoro diventa parte fondamentale anche nei nuovi Esami di Stato della scuola secondaria di secondo grado: attraverso il decreto legislativo sulle “norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato”, Atto 384, dal 2018 gli argomenti relativi alle esperienze svolte in ambiente aziendale, le lezioni d’impresa formativa simulata, quelle tenute da esperti esterni e della sicurezza, diventeranno argomenti da affrontare durante l’esposizione della prova orale, divenendo contemporaneamente requisito per l’ammissione alle stesse prove d’esame.

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, ci sino ancora troppi aspetti da chiarire: “Viene da chiedersi – dice il sindacalista autonomo – come potranno assolvere studenti privatisti al requisito, diventato indispensabile, della presentazione delle attività di alternanza scuola lavoro, dal momento che non le hanno svolte. Anche gli studenti lavoratori, che non svolgono attività inerenti al corso di studi, avranno lo stesso genere di problemi”.

“Rimane poi ancora da capire dove sia finito il Regolamento sui diritti e doveri degli studenti impegnati in azienda. È un passaggio cruciale e ineludibile. Perché è da lì che parte la formazione fuori scuola negli ultimi tre anni delle superiori. Senza un regolamento-base nazionale – un decreto specifico contenente le regole organizzative per svolgere gli stage, presso gli enti accrediti dalla Camera di Commercio – gli studenti rimangono esposti ai fenomeni di sfruttamento, di cui purtroppo abbiamo spesso riscontro girando per le scuole. Invece di fermarsi a dire, come ha fatto il Miur, che lo scorso anno scolastico 652.641 studenti delle scuole superiori hanno partecipato a percorsi di alternanza Scuola-Lavoro, a fronte dei 273mila del 2014/15, perché non si entra nello specifico sul tipo di attività che svolgono questi ragazzi nelle aziende?”.

Anief ricorda che poiché rimane molto da fare anche sul piano della sicurezza, quando lo studente opera all’interno dalla scuola è soggetto attivo-passivo del servizio di prevenzione e protezione dello stesso istituto; viceversa, in azienda è soggetto allo stesso servizio della struttura ospitante. Pure questo aspetto andrebbe normato nello statuto dello studente-lavoratore. Come sarebbe opportuno cambiare, con opportune modifiche legislative, sia il Testo Unico sulla sicurezza, il D.L. 81 del 2008, sia i piani sulla sicurezza delle scuole organizzatrici e delle aziende ospitanti gli allievi. Le stesse leggi delega non sembrano rispondere in pieno a tali necessità.

“È anche fondamentale che si approvino delle norme che facciano decollare l’interesse delle aziende e delle industrie verso i giovani studenti e la loro formazione tecnico-lavorativa: senza incentivi veri, ‘accesi’ dal Miur in sinergia, anche finanziaria, con il Ministero del Lavoro, qualsiasi progetto di alternanza scuola-azienda è destinato a naufragare: non si può pensare – conclude Pacifico – che i datori di lavoro possano assorbire ogni anno centinaia di migliaia di giovani diplomati, formandoli, senza pensare a incentivi veri per gli stessi imprenditori”