L’Italia perde attrattività per gli investitori esteri. Si riduce la capacità del nostro Paese di attrarre investimenti esteri. L’Aibe Index, l’indice sintetico che misura l’attrattività del sistema-Italia, passa da un valore di 47,8 registrato nel 2016 all’attuale 40,3 lungo una scala che va da un minimo pari a 0 a un massimo di 100. Pur rimanendo superiore al 33,2 del 2014, la riduzione dell’indice è di oltre 7 punti. L’indice è elaborato a partire dalla rilevazione realizzata dal Censis con l’Aibe (Associazione Italiana delle Banche Estere) su un consistente e autorevole panel composto da figure ai vertici di imprese multinazionali, banche e istituzioni finanziarie estere presenti in Italia e da corrispondenti di grandi testate giornalistiche straniere. Se lo scorso anno la quota di chi considerava più attrattiva l’Italia rispetto ai sei mesi precedenti la rilevazione era pari al 71,8%, oggi la percentuale si è ridotta al 28%, mentre cresce la quota di chi non rileva grosse differenze rispetto al passato (40%) e di chi rimarca una minore attrattività (32%).
Quanto peseranno referendum, Brexit e Trump. Le recenti manovre del Governo nel campo del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione non sono considerate dal panel determinanti per l’attrattività degli investimenti esteri. Dal programma Industria 4.0 avviato ci si aspetta invece un contributo molto o abbastanza importante (60% dei rispondenti). Instabilità politica e instabilità economica sono gli impatti collegati all’esito del referendum costituzionale dello scorso dicembre secondo il 72% del panel. Si prevede al contrario un effetto positivo della Brexit sull’economia italiana e sulla sua capacità di attrarre investimenti (56%), mentre l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti avrà conseguenze negative secondo la maggioranza (52%).
I Paesi più attrattivi. In una scala da 1 a 10 (dove con 10 si intende il livello maggiore di attrattività), con un punteggio di 7,3 Cina e Germania si collocano in cima alla graduatoria di attrattività, seguiti da Stati Uniti (7,0) e India (6,5). Nella parte centrale della classifica si posizionano Gran Bretagna (6,0), Francia (5,9) e Spagna (5,7), mentre la parte bassa è occupata da Brasile (5,1) e Russia (4,8). L’Italia occupa l’ultima posizione con un valore pari a 4,5.
I fattori che scoraggiano. Tra i principali fattori che un investitore estero prende in considerazione nella scelta del Paese di destinazione delle risorse si colloca al primo posto la stabilità politica: viene indicata nel 47,8% delle risposte del panel e come primo fattore nel 30,4% dei casi. Il carico fiscale (43,5%), i tempi delle giustizia civile (39,1%) e il carico normativo e burocratico (34,8%) si contendono le posizioni successive. Meno rilevanti gli aspetti relativi alla solidità del sistema bancario, la chiarezza del quadro normativo (8,7%), la qualità delle risorse umane (4,3%) e i costi dell’energia (0%). L’Italia viene considerata attrattiva in primo luogo per la qualità delle sue risorse umane (nel 92% dei giudizi viene attribuito un punteggio tra 7 e 10). Costo del lavoro (36%), infrastrutture e logistica (32%) sono gli altri aspetti considerati positivi. In sintesi, nella percezione esterna dell’Italia ottengono un maggiore apprezzamento aspetti strutturali del Paese come risorse umane, infrastrutture, sistema bancario e flessibilità del mercato del lavoro. Mentre restano respingenti nell’ottica degli investitori gli aspetti che chiamano in causa la pubblica amministrazione.
Su cosa puntare. Le priorità su cui si dovrebbe concentrare l’iniziativa politica per migliorare il «quadro di convenienza» dell’Italia riguardano la terna fisco-burocrazia-giustizia civile. Ma la strategia di attrattività per il sistema-Paese viene giudicata al momento inefficiente (opinione del 48% del panel, cui si aggiunge un altro 40% che nega che ci sia oggi una vera strategia di rilancio). Dovendo incrementare il grado di attrattività del Paese, la via delle riforme su larga scala diventa oggi obbligata (secondo il 72%), perché l’Italia dispone in ogni caso di asset importanti su cui far leva per migliorare il grado di attrattività. Sul piano produttivo, i settori giudicati di maggiore interesse sono la moda e il lusso (91,3%), la filiera dell’agroalimentare (60,9%), la meccanica (60,9%). A questi si affiancano il turismo (30,4%) e la farmaceutica (21,7%). Il 56% del panel indica nella tipologia della fusione e acquisizione la più opportuna modalità di investimento, rispetto a una minore rilevanza della tipologia greenfield, ovvero di insediamento produttivo. E proprio in relazione alle operazioni di M&A realizzate in Italia nel 2016 (circa 200 in totale) è risultato determinante, secondo il panel, il prestigio dei marchi del made in Italy (con valutazioni medie superiori a 8 in una scala da 1 a 10), l’elevata qualità dei prodotti e servizi offerti (7,83), la creatività, l’innovazione e la flessibilità che caratterizza i sistemi produttivi e i modelli di business (7,26), seguiti dal prezzo di acquisizione delle imprese relativamente bassi (7,09). Resta quindi forte l’attenzione del panel per i fondamentali della struttura produttiva nazionale, ma dal monitoraggio emerge che, senza una spinta interna della domanda, i rischi di erosione degli asset sui cui l’economia italiana si basa possano alla lunga diventare concreti, indebolendo ulteriormente il potenziale di crescita e riducendo progressivamente anche i fattori di profittabilità che ancora spingono operatori e imprese estere a scegliere l’Italia come luogo di destinazione degli investimenti.
«L’analisi condotta conferma la sensazione percepita di un raffreddamento delle aspettative nei confronti del sistema-Italia», ha detto Guido Rosa, presidente di Aibe. «Una caduta di attese dopo l’esito del referendum costituzionale e nell’incerta prospettiva di recuperare una stabile e duratura governabilità che consenta di completare importanti riforme determinanti per una ripresa più robusta. La riforma della Pubblica Amministrazione, la semplificazione e certezza di una più efficace politica fiscale, la riforma della giustizia civile, ritornano al centro delle preoccupazioni degli investitori esteri», ha aggiunto Rosa. «L’arretramento dell’indice di attrattività ha colto, oggettivamente, gli effetti, anche sul piano economico, di quegli stop and go cui la politica ha abituato da tempo sia l’opinione pubblica italiana, sia quella che ci vede da una prospettiva esterna al Paese. Le performance di crescita italiane, seppure positive, non sembrano aver raggiunto ancora quel livello che consentirebbe al Paese di recuperare gli effetti della recessione. Mi auguro che l’Italia possa dispiegare appieno la propria grande potenzialità attraverso l’affermazione di una volontà riformatrice per attrarre quegli investimenti produttivi la cui adeguata intensità è ancora la chiave per agganciare una ripresa più intensa e diffusa», ha concluso Rosa.